Quer pasticciaccio brutto de via Merulana by Carlo Emilio Gadda

Quer pasticciaccio brutto de via Merulana by Carlo Emilio Gadda

autore:Carlo Emilio Gadda [Gadda, Carlo Emilio]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
editore: Emmebooks
pubblicato: 2012-09-10T16:00:00+00:00


07

«LA INES CIONINL…»

«Comandi, signor commissario capo» fece Paolillo.

«Tenersi a disposizione!...» Povera figliola, avrebbe atteso l'alba sul tavolaccio della camera di sicurezza, rinvoltata dentro una copertuccia bigia da caserma all'insegna der pidocchietto: in compagnia d'altre nereidi pescate ad oceano dal pattuglione, involtate in vigogna doppia del pari, e similmente intrigate dalla parentèla, e a volta a volta sospirose o addirittura eloquenti nel sonno: e in presenza d'un càntaro muto, incoperchiato, in un angolo: er commendató: un tipo autorevole difatti, tesoriere d'escrementi. Riportava l'animo a certa romanesca lautezza e scioltezza del vivere e del fungere, a certo pre-qùarantottardo (o pre-quarantanovesco) e alquanto gregoriano «loisir de siéger».

Povera figliola; dato, invece, quell'ordine, bah, er sor Paolillo la venne a ridomandare alle dieci.

Quanto al Pestalozzi, a un certo punto aveva chiesto compermesso al dottor Fumi, pregandolo dargli agio a potersi rifocillare un tantino, dopo la lunga e non perfetta giornata: idea che Fumi trovò eccellente lui pure.

Piovuto dai colli saluberrimi, il superbrigadiere-centauro aveva interpretato il desiderio di tutti. Si diedero convegno per le nove e un quarto nove emmezza. Prima di riscappar via, logicamente, Pestalozzi voleva concordare il séguito: a conclusione del già fatto. In uno scalpiccio per i corridoi e controscalucce, la radunata si sciolse.

Nel frattempo, salito a palazzo Simonetti a via Lanza, Ingravallo maturò de premura quelle che il Truce in cattedra, a palazzo der Mappamonno, avrebbe chiamato le direttive da impartire... alle sottostanti gerarchie: cioè a li vasi de coccio l'uno de sotto all'artro che se le bevevano a garganella in cascata, le sue traculente fessaggini: l'uno dal sedere dell'altro. Era tardi. Piovigginava. Tutto era ancora sossopra nella notte. Don Ciccio si cucchiarò in bocca la magra minestrucola, ma non tanto magra poi, enfatizzando in uno strascico brodoso la povertà delle proteine e peptoncelli ingredienti: poi, stufo, masticò e mandò giù qualche boccone alla meno peggio, senza far parola, cor capoccione sur piatto, de queli spezzatini de muscolo de caucciù, povero don Ciccio!, amoroso bersaglio d'alcuni «ma che cos'ha stasera dottore?» della impareggiabile padrona tutta in ansie, in premure: che non la finiva più di roteargli attorno, a lui e al servito. «Un po' de stracchino? De quello de Corticelli che je piace tanto, dottó?» E, al grugno che mise: «Un pochetto solo, dottó! Cioo provi: è tanto bono! Mica je po fa male…» Sotto al riflettore di vetro, orlato di crespe e di riccioli bianchi e verdini come l'insalata, er cucuzzone pareva più tenebroso, più riccioluto del solito. Niente automobile! Nessuna comodità di trasferta. Le automobili c'erano, bah! «Ma solo pe chelli scocciatori daa politica», cioè della squadra politica. La gita mancata, l'orribile giovedì: «giuorno dici-assette! 'o peggio nummero», sospirò: «o cchiù fetente 'e tutti!..». grugnì a denti stretti.

Tutto il merito, ora, ai carabinieri di Marino. «Sti lanternoni d' 'o tteate 'e Pulcinella». Pestalozzi cenò di buon appetito a 'o tavolino de marmo: a via der Gesù: dal Maccheronaro: dove ce l'aveva accompagnato Pompè: lo Sgranfia, come lo chiamavano; che fungeva pure da maestro de cerimonie, a Santo Stefano, l'opportunità richiedendo.

Pompeo,



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