Ritrovarsi e guarire by Antonio Ficarola

Ritrovarsi e guarire by Antonio Ficarola

autore:Antonio Ficarola [Ficarola, Antonio]
La lingua: eng
Format: epub
editore: Meltemi
pubblicato: 2024-02-23T14:27:03+00:00


6.1. Pensare i pensieri

Lo scopo del pensiero è, per un individuo, trasformare l’azione istintiva destinata a governare sé stesso o l’ambiente, in un’azione mediata da una logica.

In altri termini il fine del pensiero è tradurre in termini mentali alcuni aspetti del funzionamento emozionale biologicamente determinato.

In questo senso la creazione di un pensiero, inteso come interpretazione di segnali provenienti dalla fisicità animale che sta dentro di noi, diventa uno strumento di orientamento e semplificazione della complessità di un comportamento casuale e caotico.

La caratteristica essenziale dell’Uomo, che lo distingue dagli antenati animali, è senza dubbio questa capacità riflessiva e auto-riflessiva.

La prima è la competenza nel pensare prima di agire, la seconda e di “pensare a me, che penso a me”, attraverso la quale posso leggere e pensare i miei stessi pensieri, interpretarli e cambiarli se voglio, finalizzandoli a nuove conoscenze su di me, che porteranno a nuove azioni, che porteranno a nuove emozioni e a un adeguamento continuo della mia mappa.

E la stessa competenza mi permette di entrare in relazione con un altro essere umano, con la sua competenza auto-riflessiva e diventare collaborativo con lui, ai fini di una crescita personale e sociale.

In questo ambito relazionale la capacità auto-riflessiva comporta che “penso a me, che sto pensando a te, che stai pensando a me”61, creando le basi per una crescita nel confronto inter-soggettivo, emotivo e cognitivo con l’altro.

In tutti questi aspetti, dobbiamo concepire il pensare come il rappresentarsi mentalmente un evento viscerale interno, un vissuto e una visione, mediante un loro sostituto simbolico che fa da etichetta per poterlo riconoscere e rievocare poi, in mezzo a tanti concetti della memoria.

Ripescare un evento o un oggetto nella memoria grazie a un nome simbolico significa poi comunicarlo, riesaminarlo con nuova capacità di giudizio e liberarlo da eventuali vincoli percettivi che ne alterano il significato.

Il sostituto simbolico è, fin dai primi giorni di vita, una immagine grezza della “cosa” vissuta o mancata.

Ad esempio il sostituto simbolico di un biberon per un neonato è l’immagine che egli si crea di questo oggetto. Grazie all’immagine egli lo può visualizzare anche in sua assenza mitigando l’angoscia connessa alla sua mancanza.

In seguito, con l’apprendimento del linguaggio imparerà a dargli il nome “biberon”, che costituirà un simbolo linguistico più evoluto.

Così l’immagine, inizialmente, e la parola, successivamente, simboli corrispondenti a cose o eventi, potranno fare da riferimento per riconoscere ciò che manca o è presente nell’ambiente o nel vissuto di una persona, ai fini di una rappresentazione mentale duratura e di una comunicazione con l’altro.

Si comprenderà come l’immagine e la parola, scritta o parlata, sia stata per l’Homo Sapiens Sapiens, una conquista evolutiva che gli ha conferito, rispetto agli animali, una modalità di gestione di sé che va molto oltre l’istinto.

Così con la parola esprimiamo una cosa o un’azione attribuendo loro un nome, che non serve solo a distinguerle, ma anche a rappresentarle mentalmente e a offrire chiavi di lettura o modalità interpretative, come accade nel’“agire nel nome di…” che equivale a inquadrare nella stessa origine questioni anche molto diverse.

L’immagine e



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