Segui il tuo demone by Ivano Dionigi

Segui il tuo demone by Ivano Dionigi

autore:Ivano Dionigi
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Economica Laterza
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2022-01-15T00:00:00+00:00


IV.

Non eccedere

Nihil nimis

«La morte soprattutto sia davanti ai tuoi occhi:

così non avrai pensieri bassi,

né desidererai qualcosa oltre misura».

Epitteto

«Por limiti al mondo e all’uomo,

è questo il terreno su cui ci ricongiungeremo ai Greci».

A. Camus

La giusta misura

«Non desiderare nulla di troppo» (Medèn ágan) era precetto degli antichi sapienti, attribuito tradizionalmente a Chilone di Sparta (VI sec. a.C.)1 e scolpito anch’esso nel tempio di Apollo in Delfi, al pari di «Conosci te stesso», di cui costitui­rebbe una sorta di spiegazione2. L’equivalente latino Nihil nimis (sottinteso cupere, «Non desiderare nulla di troppo»)3 è formula assai diffusa nell’antichità (pervulgata la definisce il grammatico Donato) e presente già in Terenzio (Il punitore di se stesso 519), il quale conosce anche la variante Ne quid nimis (La donna di Andro 61), divenuta espressione proverbiale e anch’essa fortunatissima: attraversa il Medioevo, il Rinascimento fino al Manzoni dei Promessi sposi (22, 36), dove compare riferita negativamente al perbenismo e al compromesso di coloro che volevano frenare la generosità e il coraggio del cardinale Federico Borromeo: «E qui pure ebbe a combattere co’ galantuomini del ne quid nimis, i quali, in ogni cosa, avrebbero voluto farlo star ne’ limiti, cioè ne’ loro limiti»4.

Misura, limite, temperanza, equilibrio interiore, lontananza dagli estremi e dagli eccessi: la sapienza classica ruota attorno a queste parole chiave e a questi concetti valoriali (Wertbegriffe). La dottrina della «giusta misura» (metriótes) e del «giusto mezzo» (mesótes) era stata teorizzata da Aristotele nell’Etica Nicomachea (1106 b): «Ogni uomo dotato di scienza rifugge sia l’eccesso sia il difetto, mentre ricerca la medietà (mesótes) e la sceglie [...]. L’eccesso e il difetto sono propri del vizio, la medietà della virtù». Secondo Aristotele (1103 a) questo criterio della moderazione e del giusto mezzo deve anche regolare le virtù etiche (le eccellenze del carattere), tra le quali spicca la giustizia, prima che le virtù dianoetiche (eccellenze della ragione teoretica e pratica), quali la sapienza (sophía) e la saggezza o prudenza (phrónesis).

Applicata alla politica, tale «medietà» etica si tradurrà in un ideale «centrista», ovvero nella costituzione media tra oligarchia e democrazia chiamata politéia, di cui Aristotele tesse l’elogio nella Politica (1295 b-1296 a):

È evidente che la migliore comunità politica è quella che si fonda sulla classe media, e che gli Stati che possono avere una buona costituzione sono quelli in cui la classe media (tò méson) è più numerosa e più potente delle due estreme, quella dei molto ricchi e quella dei molto poveri [...]. Che quella intermedia sia la forma migliore è evidente, perché essa soltanto non è soggetta a sconvolgimenti: dove infatti la classe media è numerosa, raramente avvengono sedizioni e lotte civili.

L’ideale del «giusto mezzo» e della «classe media» intesa come garanzia della salvezza dello Stato era già proclamato da Teseo nelle Supplici di Euripide (vv. 238- 245):

Tre sono le classi dei cittadini: i ricchi / inutili, e che sempre vorrebbero di più; / quelli che non possiedono neppure di che vivere, / violenti; molto inclini all’odio / essi lanciano contro gli abbienti aculei maligni, / ingannati dalla lingua dei capi malvagi.



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