Si fa presto a dire cotto by Marino Niola

Si fa presto a dire cotto by Marino Niola

autore:Marino, Niola [Niola, Marino]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Antropologia culturale, Intersezioni
ISBN: 9788815307651
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2011-10-14T22:00:00+00:00


Il carciofo, un piacere spinoso

Il carciofo è femmina. Così almeno dice la mitologia che racconta di una fanciulla di nome Cynara, follemente amata da Giove. La bella ninfa, dal carattere decisamente spinoso, osò rifiutare le avances dell’olimpico sciupafemmine che si vendicò trasformando l’oggetto del suo desiderio in un carciofo.

La scienza dice invece che il Cynara è bisex. Fu Linneo, il padre di tutti i naturalisti, il primo a dargli dell’ermafrodito, catalogandolo nella famiglia delle Composite, la stessa dei cardi e delle margherite. E in effetti il carciofo è pungente e difeso come il cardo, ma al tempo stesso si lascia sfogliare voluttuosamente come una margherita. Sempre in bilico tra il darsi e il negarsi, il carciofo in realtà dona il suo cuore solo a chi non ha fretta e riesce a vincere la sua ispida ritrosia. Il che gli ha fatto guadagnare la fama di cibo afrodisiaco, emblema delle spinose delizie dell’amore.

Se la sua data e luogo d’origine sono incerti il Cynara è al centro di una vasta e fitta mitologia, come tutte le cose di cui meno si sa e più si favoleggia. Alcune ipotesi vogliono che i primi a coltivarlo siano stati gli antichi egizi, altri congetturano che la sua vera patria sia l’Oriente. I più eurocentrici assicurano invece che il carciofo è roba nostra. Anzi sarebbe il caso di dire «cosa nostra» visto che la mafia diede alle sue associazioni proprio il nome della corona di foglie che circonda il cuore del carciofo, che in siciliano si chiama cosca. Un modo per dire che gli affiliati difendono ferocemente il fondo dell’organizzazione così come la cosca difende tenacemente il fondo del carciofo.

Strano destino quello di certi cibi, che spesso finiscono per diventare simboli a causa della loro forma e del loro sapore: buoni da mangiare e buoni da pensare, per dirla con il sommo Lévi-Strauss.

Che il carciofo fosse buono da mangiare in realtà lo sapevano benissimo gli antichi romani che, Trimalcione in testa, lo consideravano la migliore delle entrées. Non diversamente dai quiriti dei nostri giorni che cominciano spesso e volentieri il pasto con un carciofo alla giudia.

E se nella barbarica notte del Medioevo della Cynara si perdono le tracce, l’età moderna ne decreta il trionfale ritorno. Madrina d’eccezione Caterina de’ Medici, che dalla sua Toscana lo portò in Francia nel 1547 quando andò sposa ad Enrico II facendone il cibo più à la page della capitale. Pare che la sovrana abbia addirittura rischiato di passare a miglior vita dopo una pantagruelica spanciata di carciofi ripieni serviti in un pranzo di corte. Oltre che le tavole, il carciofo conquista ben presto anche le tavolozze. La sua sensuale, plastica pienezza sembra fatta apposta per eccitare il barocco virtuosismo dei pittori di nature morte. E la mirabolante gastronomia seicentesca si addice particolarmente al carciofo che proprio allora consolida la sua fama di ortaggio generoso, bello da vedere, buono per tutti gli usi e di cui non si butta via niente. Fritto, in minestra, imbottito, crudo, gratinato, bollito, associato a carne, pesce, uova, selvaggina e frutti di mare.



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