Stanley Kubrick e me by D’Alessandro Emilio

Stanley Kubrick e me by D’Alessandro Emilio

autore:D’Alessandro Emilio [Emilio, D’Alessandro]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788865762387
editore: il Saggiatore
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


32. Una foto scattata da Martin durante i sopralluoghi a Beckton nell’inverno 1983-1984: stavo prendendo in giro la sua passione per le motociclette, in sella a un rottame abbandonato nella fabbrica.

Arrivò il momento del primo sopralluogo di Stanley alla fabbrica. Voleva proteggersi dalla polvere tossica, ma fargli indossare una delle tute bianche era fuori discussione: non avevano neppure una tasca. Si era vestito come al solito, con un pesante piumino scuro per ripararsi dal freddo, e mi aveva guardato come a chiedere una soluzione al problema della polvere. Presi due sacchi dei rifiuti, li tagliai con le forbici e li arrotolai intorno alle sue gambe fermandoli con il nastro adesivo.

Le ruspe della compagnia di demolizione avevano sospeso il loro lavoro in attesa di conoscere i piani di Stanley riguardo a cosa abbattere. La scelta era ricaduta sulle tre torri di mattoncini che troneggiavano a una estremità della fabbrica: altissime, erano le ciminiere degli altiforni. Una squadra di tecnici le aveva preparate sistemando alla base piccole cariche di dinamite. Stanley li guardava armeggiare con i fili e il detonatore un po’ perplesso: «Siamo sicuri che non cadranno di lato?» chiese dando voce ai dubbi di noi tutti; «Emilio» mi chiese poi a bassa voce «dove hai parcheggiato la Mercedes?».

«Ready when you are, Mister» annunciò il capo tecnico rivolto a Stanley che, dopo un attimo di esitazione, diede il via. Sentimmo un leggero colpo, un crepitio di piccole esplosioni, e per un secondo tutto restò immobile, poi la punta di una delle torri iniziò a crollare; un secondo dopo, seguirono le altre due. Andarono giù perfettamente verticali, come se qualcuno avesse scavato un buco sotto di loro dove poter scivolare in silenzio. «Amazing!» commentò Stanley quando la polvere cominciò a diradarsi.

Adesso fu il reparto scenografico a prendere il comando. Con le ruspe e la palla da demolizioni la squadra spostò macerie e colpì qualche angolo degli edifici ancora in piedi; con piccole cariche esplosive vennero simulati dei fori di proiettile su alcuni muri. Le foto che Martin aveva scattato agli edifici, quelle con inquadrature frontali che mostravano bene le facciate e la posizione delle porte e delle finestre, vennero usate per progettare la trasformazione di Beckton in una cittadina asiatica. Lo scenografo stese del nastro adesivo trasparente sulle foto e vi disegnò sopra con matite bianche e nere i motivi geometrici e le decorazioni da dipingere per ciascun edificio. Rispetto ai consueti schizzi a matita, utilizzare fotografie come base permetteva di risparmiare tempo e di mostrare con più immediatezza e precisione il risultato dal vivo: una scelta brillante.

Per settimane gli operai prepararono la fabbrica, con il paradosso che si trattava di costruire il set distruggendolo. Tra la polvere residua della fabbrica e quella prodotta dai mezzi di demolizione, l’aria divenne talmente irrespirabile che Stanley decise di lasciare la Mercedes a casa per evitare di contaminarla. Per andare a Beckton utilizzavamo il fuoristrada, che comunque doveva essere parcheggiato ben lontano dai cancelli di ingresso, mentre per spostarci all’interno dell’area Stanley aveva noleggiato delle jeep Land Rover che lasciava sul posto giorno e notte.



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