Sullo stile tardo by Edward W. Said

Sullo stile tardo by Edward W. Said

autore:Edward W. Said [Said, Edward W.]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
Tags: Literary Criticism, General, Music, Social Science, Anthropology, Cultural & Social
ISBN: 9788842814610
Google: DgtkPgAACAAJ
editore: Il Saggiatore
pubblicato: 2009-10-15T06:09:08+00:00


Cosa ne sarebbe stato di te dopo le tempeste di fuoco e acciaio? Che cos’avresti fatto? Ustione, grido, trasformazione in un marchio, oscurità. Diventa cenere, lasciati ricoprire lentamente prima di polvere e poi di terra, semi, muschio, lasciandoti alle spalle solo la mascella e i denti, e diventa finalmente un piccolo tumulo funebre su cui crescono i fiori e al cui interno non c’è nulla.2

Nel loro movimento di ribellione rigenerativa, i palestinesi, come gli algerini e i Black Panthers prima di loro, mostrano a Genet un nuovo linguaggio, non di semplice comunicazione, ma di stupefacente lirismo, di un’intensità prelogica eppure finemente cesellata che offre «momenti di meraviglia e [...] lampi di comprensione». Molti dei frammenti più memorabili nella struttura misteriosamente digressiva di Un captif amoureux sono meditazioni sul linguaggio che, da forza di identità e affermazione,

Genet vuole sempre trasformare in un tradimento trasgressivo, dirompente e forse anche consapevolmente malvagio. «Quando nel bisogno di “tradurre” avremo visto l’ovvia necessità di “tradire”, vedremo la tentazione di tradire come qualcosa di desiderabile, forse paragonabile all’esaltazione erotica. Chiunque non abbia sperimentato l’estasi del tradimento non sa che cosa sia l’estasi» (CA 85). In questa ammissione c’è la stessa forza oscura della Madre, di Kadidja, Leila e Said nei Paraventi, partigiani della liberazione algerina che tuttavia tradiscono esultanti i loro compagni.

La sfida della scrittura di Genet è quindi la sua feroce antinomia. Qui abbiamo un uomo innamorato dell’«altro», emarginato e straniero lui stesso, che prova una profondissima simpatia per la rivoluzione palestinese come rivolta «metafisica» di emarginati e stranieri — «c’era dentro il mio cuore, c’era dentro il mio corpo; c’era dentro il mio spirito» - ma non può metterci la sua «totale fede» né «tutto me stesso» (CA 125). La consapevolezza di essere un mistificatore, una personalità instabile eternamente ai limiti («dove la personalità umana si esprime più pienamente, sia in armonia sia in contraddizione con se stessa», CA 203) è l’esperienza centrale del libro. «Tutta la mia vita è stata fatta di bazzecole futili astutamente gonfiate fino a diventare gesti di sfida» (CA 205). Qui non si può non pensare a Thomas Edward Lawrence, agente imperiale tra gli arabi (anche se fingeva di non esserlo) mezzo secolo prima, ma la sicurezza di Lawrence e il suo istinto per la fredda dominazione in Genet (che non è mai stato un agente) sono soppiantati dall’erotismo e da un’autentica sottomissione al flusso politico di un impegno appassionato.

L’identità è ciò che imponiamo a noi stessi per tutta la vita, in quanto esseri sociali, storici, politici e perfino spirituali. La logica della cultura e delle famiglie raddoppia la forza dell’identità, che per uno come Genet, vittima dell’identità impostagli dalla sua delinquenza, dal suo isolamento e dai suoi talenti e piaceri trasgressivi, è qualcosa a cui opporsi risolutamente. Ma soprattutto, visto che la scelta di Genet è caduta su luoghi come l’Algeria e la Palestina, l’identità è il processo grazie al quale la cultura più forte e la società più sviluppata si impongono violentemente a coloro che, grazie allo stesso processo di identità, sono stati decretati inferiori.



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