Terrore rosso by Carlo Fumian Pietro Calogero Michele Sartori

Terrore rosso by Carlo Fumian Pietro Calogero Michele Sartori

autore:Carlo Fumian, Pietro Calogero, Michele Sartori [Calogero, P. - Fumian, C. - Sartori, M.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: i Robinson / Letture
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2010-10-14T22:00:00+00:00


Il terrorismo autonomo e il «7 aprile»

S.G. Dopo questa esperienza sull’eversione di destra, come arrivò ad indagare l’«ultrasinistra», come veniva allora chiamata?

P.C. Da Treviso arrivai alla Procura della Repubblica di Padova, diretta dall’indimenticabile Aldo Fais, nel marzo del 1975, con un’esperienza fortificata dalle tormentate vicende delle indagini sulla strage di piazza Fontana.

Padova era una città «caldissima», funestata da scontri fisici e pestaggi pressoché quotidiani, uso di armi improprie e bottiglie incendiarie, fra militanti di destra e militanti della sinistra extraparlamentare che si contendevano il controllo del territorio. L’Università era teatro di sistematiche occupazioni, di blocchi della didattica e dei servizi d’assistenza agli studenti, di intimidazioni e sequestri di docenti, di violenze e devastazioni. Le forze dell’ordine impegnate in servizi di ordine pubblico erano costantemente attaccate con materiali e tecniche da guerriglia e costrette a inasprire il clima di scontro con il lancio di candelotti lacrimogeni e l’uso sempre più ampio dei poteri repressivi.

S.G. Quando le capitò di intervenire su questo terreno di scontro armato?

P.C. Fra il 28 maggio e il 3 giugno 1975 fui chiamato ad indagare su altrettanti episodi di lotta armata avvenuti nelle piazze centrali di Padova, piazza Insurrezione e piazza dei Signori, in occasione dei comizi di due esponenti missini, Alfredo Covelli e Giorgio Almirante.

Un testimone delle forze dell’ordine raccontò che gli attacchi, innescati da militanti dell’ultrasinistra per impedire ai missini di parlare, si erano svolti con le modalità di una vera e propria guerriglia, cioè di un’azione militare di massa studiata nei dettagli, coordinata e rivolta programmaticamente a colpire gli agenti di pubblica sicurezza, la cui incolumità aveva corso gravi rischi. Oltre cento bottiglie molotov erano state infatti lanciate all’indirizzo di costoro da altrettanti manifestanti con il volto mascherato da fazzoletti e passamontagna, organizzati in tre file ciascuna delle quali si abbassava immediatamente dopo il lancio in modo da permettere alla fila successiva di lanciare a sua volta, le cui violenze erano state favorite e coperte dalla presenza non casuale ai margini delle due piazze di altri 200 o 300 giovani appartenenti alla medesima area. Inoltre, per sfuggire all’arresto, essi avevano usato vie di fuga diverse ed evidentemente concordate prima.

Mi parve subito chiaro che questo tipo di azioni richiedesse non solo un’organizzazione ma anche delle esercitazioni: in sostanza, una preparazione militare che a sua volta rimandava ad una concertata strategia di lotta armata. Le iniziali intuizioni trovarono conferma nel contenuto dei volantini di rivendicazione, che inserivano quelle azioni di antifascismo militante in un progetto di sovvertimento dello Stato con l’uso della violenza diffusa, cioè dell’illegalità di massa.

S.G. Come riuscì a risalire da singoli episodi alla prova dell’esistenza di un’organizzazione autonoma strutturata sul territorio, responsabile di una crescente spirale di violenze e di attentati?

P.C. Per oltre un anno, pur essendo occupato in prevalenza in una complessa indagine per ricostituzione del disciolto Partito Fascista nei confronti di una trentina di militanti padovani del Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Msi, conclusasi con numerose condanne, ebbi modo di esplorare vari



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