Testamento di un anticomunista by Edgardo Sogno Aldo Cazzullo & Edgardo Sogno
							 
							
							
							
							autore:Edgardo Sogno, Aldo Cazzullo & Edgardo Sogno
							
							
							
							La lingua: ita
							
							
							
							Format: epub
							
							
							
																				
							
							
							
							
							
							editore: Mondadori
							
							
							
							pubblicato: 2020-05-04T12:00:00+00:00
							
							
							
							
							
							
IV
Il «golpe bianco»
(1970-1976)
«Sogno, Sogno, l’Italia ne ha bisogno.»
Corteo della «maggioranza silenziosa», Milano 1973
Nel ’70 lei torna in Italia, e per prima cosa prende contatti con ex partigiani non comunisti, per fondare i Comitati di resistenza democratica. Chi eravate e quali erano i vostri obiettivi?
Al rientro dalla Birmania, trovai un Partito comunista molto più forte, e una Democrazia cristiana sempre meno in grado di opporre una barriera, come ai tempi di De Gasperi e Scelba. Erano sulla stessa lunghezza d’onda alcuni vecchi compagni della Resistenza di sentimenti liberali, tra i quali Dino Bergamasco, Edoardo Visconti, Guglielmo Mozzoni e Stefano Porta, i quattro corrieri di Parri, quelli che tenevano i contatti tra la Svizzera e il CLNAI. Porta faceva parte della Franchi, e aveva tentato con me di liberare «Maurizio». Facemmo la prima riunione a casa mia, in questo salone, all’inizio del maggio del ’70. La seconda si tenne il 30 maggio, a casa di Mozzoni, a Biumo, vicino a Varese. Oltre ai nomi che ho già citato, c’erano altri partigiani della Franchi: Uberto Revelli, Angelo Magliano, Paolo Brichetto, Adolfo Beria di Argentine (a cui dovevo il mio primo incontro con Raymond Aron, in un convegno organizzato da lui anni prima) con la moglie Cecilia, Vittorio Baudi di Selve. E poi comandanti partigiani come Felice Mautino, Silvio Geuna, sfuggito alla fucilazione al Martinetto, Aldo Geraci, Andrea Borghesio, Ugo Colombo e l’ex comunista Roberto Dotti; e antifascisti liberali come Giorgio Bergamasco, Giovanni Sforza, Napoleone Leumann, Filippo Jacini, Ugo e Giancarla Mursia, Domenico Bartoli, Marco Poma, Camillo Venesio. Discutemmo allora il progetto dei Comitati di resistenza democratica, da costruire attorno all’idea degasperiana di riunire i quattro partiti di centro contro i due estremisti di destra e di sinistra, il fascista e il comunista.
Le chiederei di spiegarmi meglio. Che motivo c’era di unire quel che già era unito? Tanto più che le elezioni del ’72 segnano uno spostamento a destra, con la nascita del governo Andreotti, il ritorno dei liberali nella maggioranza e l’uscita dei socialisti.
La prima idea era di limitarsi a un’azione di propaganda, e in effetti la barchetta dei Comitati di resistenza democratica avrebbe avuto un modesto impatto. Ma con la mia presenza fu come se a una piccola imbarcazione fosse stato applicato un motore sproporzionatamente potente, perché, al di là della propaganda, la maggioranza decise con me di considerare anche l’azione per abbattere il regime.
Intervistato da «Panorama» il 23 dicembre ’90, l’architetto Mozzoni rivendicò il progetto dei Comitati, che dovevano servire a «difendere i cittadini dalle prepotenze burocratiche e partitiche», non certo ad abbattere il regime.
Ricordo quell’articolo, che trasformò la critica di un amico in un odioso attacco personale. Sembrava che io, un estraneo al gruppo dei quattro amici e alla società milanese, avessi forzato e deformato tutta la loro iniziativa dei Comitati, per ridurla a strumento del mio estremismo anticomunista. La conseguenza fu una rottura fra me e mia moglie e Guglielmo Mozzoni e la sua, Giulia Maria Crespi, amica d’infanzia di Anna; e ci volle del tempo perché si arrivasse a una spiegazione e alla riconciliazione.
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