Tristi Tropici (2011) by Claude Lévi-Strauss

Tristi Tropici (2011) by Claude Lévi-Strauss

autore:Claude Lévi-Strauss
La lingua: ita
Format: epub
editore: il Saggiatore
pubblicato: 2013-11-05T05:00:00+00:00


23. I vivi e i morti

Pur essendo laboratorio, circolo, dormitorio e casa saltuaria, il baitemmannageo è in definitiva un tempio. In esso i danzatori sacri si preparano e alcune cerimonie vi si svolgono lontano dalla presenza delle donne; come la fabbricazione e la roteazione dei rombi. Questi sono strumenti musicali di legno, riccamente dipinti, la cui forma ricorda quella di un pesce appiattito, e la cui dimensione varia da trenta centimetri a un metro e mezzo circa. Facendoli roteare all’estremità di una cordicella, essi producono una specie di brontolio sordo, attribuito a spiriti visitatori del villaggio, dei quali si ritiene che le donne abbiano paura. Guai a quella che vedesse un rombo: ancora oggi con ogni probabilità ne sarebbe annientata. Quando, per la prima volta, assistetti alla loro confezione, cercarono di farmi credere che si trattasse di strumenti culinari. L’estrema ripugnanza che dimostrarono nel cedermene alcuni si spiegava più col timore che io tradissi un segreto, che con il fastidio del lavoro da ricominciare. Fu necessario che in piena notte mi recassi alla casa degli uomini con una cassetta. I rombi impacchettati vi furono deposti e la cassetta venne sigillata; mi fecero promettere inoltre che non l’avrei aperta prima di arrivare a Cuiaba.

Per l’osservatore europeo, le attività ai nostri occhi difficilmente compatibili che si svolgono nella casa degli uomini si armonizzano in modo quasi scandaloso. Pochi popoli sono tanto profondamente religiosi quanto i bororo, e pochi hanno un sistema metafisico così elaborato. Ma per loro le credenze spirituali e le abitudini quotidiane si mescolano intimamente, e non sembra che gli indigeni si rendano conto del passaggio da un sistema all’altro. Ho ritrovato questa religiosità infantile nei templi buddhisti della frontiera birmana, dove i bonzi vivono e dormono nella sala destinata al culto, sistemando ai piedi dell’altare i loro vasetti di pomata e la loro farmacia personale, non disdegnando di accarezzare le loro allieve fra due lezioni di alfabeto.

Questa disinvoltura di fronte al soprannaturale mi stupiva tanto più in quanto il mio solo contatto con la religione risale a un’infanzia già incredula, quando abitavo, durante la Prima guerra mondiale, presso mio nonno, che era rabbino a Versailles. La casa si collegava alla adiacente sinagoga mediante un lungo corridoio interno, in cui ci si avventurava non senza un certo timore, e che costituiva per se stesso una frontiera insormontabile fra il mondo profano e quello a cui mancava appunto quel calore umano che sarebbe stato la condizione preliminare per poterlo considerare sacro. Fuori delle ore del culto, la sinagoga restava vuota e quei pochi che vi restavano non l’occupavano mai né così a lungo né con un fervore tale da colmare lo stato di desolazione che pareva esserle naturale e che le funzioni quasi disturbavano. Il culto familiare soffriva della stessa aridità. A parte la preghiera silenziosa di mio nonno prima di ogni pasto, niente ricordava ai ragazzi che la vita era sottomessa al riconoscimento di un ordine superiore, fuorché un cartello fissato al muro della sala da pranzo, che diceva: «Masticate bene il vostro cibo, ne dipende la digestione».



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