Una famiglia perbene by Massimo Felisatti & Fabio Pittorru

Una famiglia perbene by Massimo Felisatti & Fabio Pittorru

autore:Massimo Felisatti & Fabio Pittorru [Felisatti, Massimo & Pittorru, Fabio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2023-03-03T12:00:00+00:00


Le giornate si erano straordinariamente allungate: Solmi tornò dal lago di Albano che il sole era ancora alto. “Fra pochi giorni” pensò, “con l’ora legale, alle nove c’è ancora luce: un’ora in più per lavorare, un’ora in meno da stare a letto.”

Benché fossero più delle cinque, quel sole alto dava l’idea che la giornata non era per niente finita e che si potevano ancora fare un sacco di cose: arrivati al raccordo, Solmi disse all’autista di prendere la Tiburtina.

«A quest’ora troviamo un traffico da rincoglionire, sulla Tiburtina» azzardò l’agente.

Ma Solmi tagliò corto: disse che doveva andare al Policlinico.

In realtà, andarono meglio del previsto, perché il traffico ingarbugliato a quell’ora era in uscita dalla città: cominciava infatti l’esodo serale della massa dei dannati che alla mattina affluiscono verso i posti di lavoro nel centro, da periferie sempre più lontane e caotiche, imbestiandosi di nuovo alla sera per quelle strade di calvario.

Sulla corsia di accesso, invece, il traffico era praticamente nullo.

Solmi fece fermare l’auto della volante a un centinaio di metri dall’entrata della clinica chirurgica, verso la quale preferì incamminarsi a piedi.

All’ingresso nessuno lo fermò; Solmi poté raggiungere indisturbato il corridoio, e confondersi nel solito trambusto delle corsie affollate, con letti e barelle accatastati dappertutto, negli atri, nei corridoi, in un disordine indescrivibile: c’erano malati che rantolavano avvolti in bende e lenzuola sudicie, altri accovacciati sui letti giuocavano a carte, ridevano, parlavano, con indosso pigiami stazzonati, per lo più a righe, dall’aria vagamente di divisa carceraria.

In uno sgabuzzino poco più grande di un armadio Solmi vide un’infermiera che su un fornelletto a spirito stava cuocendosi due uova in un tegamino: era un donnone ciccioso, dall’aspetto burbero e pacione al tempo stesso di bona mamma romana. Solmi, strizzando i suoi occhietti in un sorriso si fece sulla porta: «Scusi... vorrei chiedere una informazione».

La donna lo guardò senza curiosità; e intanto spense la fiamma sotto il tegame: «Be’, dica».

«Io, vede, forse mi dovrei fare operare. E volevo sapere com’è l’ambiente...»

«L’ambiente è ’na schifezza, nu’ lo vede?»

Solmi ascoltò compunto lo sfogo del donnone, che mentre gli parlava pittorescamente del gran casino che c’era all’ospedale si era tagliata una fetta di pane e aveva cominciato a intingerla nell’uovo, mangiando di gusto.

«E i dottori come sono? So’ bravi?» chiese ancora Solmi.

«Tutti bravi e tutti macellari. So’ bravi quanno ce pijano.» Solmi scuoteva la testa, facendo segno di sì, con l’aria incantata.

«E questo professorone, il professor Carpi? L’ho visto in televisione, parlava bene. Che si dice di lui?»

«Parlà parla bene. Puro lui è macellaro quanno sbaja, bravo quanno ce pija.»

«Senta» disse ancora Solmi, facendo l’atto di andarsene, mentre il donnone con la crosta del pane stava finendo di pulire il bordo del tegame, «si può parlare col professore?»

«Er professore nun è più venuto, da quanno j’è successa la disgrazia.»

«Che disgrazia?»

«Hanno ammazzato la fija, oppuramente s’è ammazzata, che ne so. Co’ quella gente mica se capisce mai quer che succede. È gente de n’antro monno, quella.»

«Ah sì, ho letto sul giornale. E allora adesso chi c’è?»

«C’è er suo aiuto, er professor Giacometti.



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