Uomini e fiumi by Stefano Fenoglio

Uomini e fiumi by Stefano Fenoglio

autore:Stefano Fenoglio [Fenoglio, Stefano]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2023-05-04T12:00:00+00:00


Mulini fluviali galleggianti sull’Adige a Verona.

Archivi Alinari, Firenze.

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Un bene primario

Pont du Gard, il più alto acquedotto romano. Per la quantità e qualità delle acque fluviali che riceveva, Roma era nota con l’appellativo di Regina Aquarum.

iStock / Getty Images Plus.

Un mio compagno del liceo, nell’ambito di una sua personale, lunga e perdente lotta con l’insegnante di latino e in un’epoca di scarsa considerazione per il politicamente corretto, riscosse la spaventata ammirazione di tutta la classe quando alla domanda su chi fosse Appio Claudio Cieco, guardando impassibile il suo avversario seduto in cattedra, pronunciò laconico quest’unica frase: «Sicuramente non un uomo di ampie vedute».

Si sbagliava. Letterato, filosofo, politico, Appio Claudio Cieco viene ricordato anche per aver inaugurato il primo vero e proprio acquedotto dell’Urbe. Nei suoi primi secoli di vita Roma si era approvvigionata di acqua potabile prelevandola direttamente dal Tevere oppure utilizzando sorgenti e pozzi presenti nella zona, ma le accresciute dimensioni della città imposero a un certo punto nuove e coraggiose scelte. Anche se era stato pensato dal censore Gaio Plauzio Venoce, fu Cieco nel 312 a.C. a inaugurare questa imponente opera lunga quasi venti chilometri, dandole il suo stesso nome, Aqua Appia. La captazione, ubicata tra il VII e l’VIII miglio della via Prenestina, immetteva le acque in un canale sotterraneo lungo sedici chilometri che emergeva poi, transitando su archi, nei pressi del Circo Massimo, presso la Porta Capena da cui partiva l’omonima via Appia.

Roma era a quel tempo uno dei posti più incredibili della terra e la realizzazione dell’acquedotto, oltre che provvedere a una necessità pratica, costituiva una straordinaria dimostrazione di potere e ricchezza, pensata anche per mettere in soggezione (e quindi assoggettare meglio) le popolazioni barbare con cui Roma veniva in contatto. Dopo l’Aqua Appia, la captazione di sorgenti e fiumiciattoli continuò per almeno seicento anni, con la realizzazione di numerosi altri grandi acquedotti (Anio vetus, Aqua Marcia, Aqua Tepula, Aqua Julia, Aqua Virgo, Aqua Alsietina, Aqua Claudia, Anio novus, Aqua Traiana e Aqua Alexandriana). Rispetto ai canali e ai pozzi scavati dagli etruschi, gli acquedotti romani stupivano il mondo per l’ardire architettonico, presentandosi come veri e propri monumenti i cui tratti sopraelevati consentivano all’acqua di superare, anzi letteralmente sorvolare, intere valli.

L’uomo copiò dai fiumi anche l’organizzazione dendritica dei loro reticoli: come rii e torrenti scendendo a valle confluiscono gli uni negli altri per creare aste fluviali sempre più grandi, così le nuove captazioni andavano ramificandosi in diverse aree per poi congiungersi nei pressi dell’Urbe in opere dall’ingegnosa e ardita complessità. Ad esempio acquedotti minori come l’Aqua Tepula e l’Aqua Julia percorrevano l’ultimo tratto del loro tragitto innestandosi su canali sovrapposti ad acquedotti più grandi e preesistenti, come l’Aqua Marcia. Come tutte le acque di un bacino sono man mano raccolte e unite in tratti fluviali sempre più grandi per poi giungere al mare nello stesso estuario, così i principali acquedotti romani arrivavano a sfociare in città nell’area della Speranza vecchia («ad Spem Veterem»), corrispondente pressappoco all’attuale Porta Maggiore. Nel I secolo a.C., con una popolazione di



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