Vercingetorige by Giuseppe Zecchini

Vercingetorige by Giuseppe Zecchini

autore:Giuseppe Zecchini [Zecchini, Giuseppe]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Biblioteca Essenziale Laterza
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2001-12-31T16:00:00+00:00


6. Vercingetorige capo supremo dell’insurrezione

Gli Edui, una volta decisi alla rivolta, si fecero carico di propagarla e dispiegarono uno zelo e un attivismo pari all’irresolutezza precedente; si servirono del loro prestigio, delle loro ricchezze, ma soprattutto degli ostaggi gallici trovati a Noviodunum per persuadere, anche col ricatto, gli altri popoli ad unirsi alla ribellione: solo i piccoli Remi e i Lingoni rimasero fedeli a Cesare anche in questo frangente, nonostante il grave rischio di essere ritenuti traditori della causa comune.

Dunque la defezione degli Edui ebbe un, peraltro prevedibile, «effetto-domino»: per la prima ed ultima volta si può parlare di una Gallia unificata contro l’invasore romano. Pure si possono già cogliere i segni della futura discordia e intuire forse quel che sarebbe successo, se i Galli avessero vinto: infatti gli Edui, pur essendo pervenuti da ultimi alla guerra antiromana, ne pretesero subito la direzione, che lasciava prefigurare la volontà di essere egemoni nella Gallia liberata; Vercingetorige, di fronte a una richiesta francamente sfacciata, rifiutò di cedere il comando, ma gli Edui non si diedero per vinti e convocarono nella loro capitale, Bibracte, un’assemblea dell’intera Gallia, a cui intervennero delegati di tutti i popoli partecipanti all’insurrezione.

In questa sede Vercingetorige fu riconfermato all’unanimità, e con grande disappunto degli Edui, imperator. Così nel luglio del 52 il figlio di Celtillo raggiungeva il punto più alto della sua parabola di uomo e di condottiero: re degli Arverni, «generalissimo» della più vasta coalizione che si fosse mai vista in Gallia, nonché sicuro egemone nell’eventuale vittorioso dopoguerra, restauratore di quell’«impero arverno» che avrebbe avuto nei soli Edui i tradizionali rivali, ma in condizioni di chiara inferiorità.

Perché si ripristinasse il buon tempo antico, di cui uomini come Vercingetorige erano profondamente nostalgici, non era neppur necessario sconfiggere Cesare in modo radicale, bastava costringerlo a sgomberare la Comata e a rifugiarsi nella Narbonense. Proprio questo fu il piano di Vercingetorige per l’estate del 52, peraltro in piena coerenza con la sua strategia precedente (a parte Avaricum); si accontentò della fanteria, che già aveva, ma ordinò ai nuovi ribelli di portare a 15 mila il totale dei suoi cavalieri per assicurarsi la superiorità necessaria ad impedire che i Romani si rifornissero di vettovaglie, ordinò anche la distruzione di raccolti e villaggi (come già prima di Avaricum) sempre allo scopo di affamare il nemico, ordinò infine l’invasione della Narbonense: inviò una prima colonna forte di oltre 10 mila uomini e sotto comando eduo contro gli Allobrogi, una seconda colonna sotto comando arverno contro gli Elvii, una terza colonna, con ogni probabilità sotto il comando di Lucterio, contro i Volci Arecomici. Come si vede, si trattava di un’invasione assai articolata, che nella distribuzione delle responsabilità si sforzava di fornire un «contentino» agli Edui e che non escludeva il coinvolgimento degli stessi popoli della Narbonense nella lotta antiromana: gli Allobrogi furono sollecitati con promesse di denaro e di egemonia su tutta quella che ci si augurava potesse diventare la ex provincia romana.

La Narbonense non cedette alle lusinghe di Vercingetorige e non si unì alla



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