Verdi, l'italiano by Riccardo Muti

Verdi, l'italiano by Riccardo Muti

autore:Riccardo Muti
La lingua: ita
Format: epub
editore: Rizzoli
pubblicato: 2012-11-02T16:00:00+00:00


Ma questo senso del dubbio era già presente nel Requiem, una delle sue più grandi creazioni, una grande pagina di riflessione.

Fu ideato dopo la morte di Rossini, nel 1869, ma fu poi composto dopo la morte di Manzoni, nel 1873, e a lui è dedicato. Fu diretto per la prima volta da Verdi in persona, nella chiesa di San Marco a Milano, il 22 maggio 1874, in occasione del primo anniversario della morte dello scrittore, che con Verdi aveva condiviso i valori risorgimentali.

È spesso adoperato da certi direttori per sfoggiare la propria capacità di «atletismo» sul podio, invece è una pagina di grande profondità: che cos’è la morte e che cos’è la nostra liberazione?

Alla fine c’è un enorme punto interrogativo. Verdi termina infatti il Requiem con un accordo di Do maggiore – adoperato per secoli nella storia della musica come un accordo di luce, di gioia, di serenità (pensiamo alla Creazione di Haydn, al finale del Guglielmo Tell di Rossini, alla sinfonia Jupiter di Mozart) –, che si copre però di una specie di coltre scura, perché non sappiamo esattamente se siamo in Do maggiore o nella dominante di un Fa minore.

Un accordo di Do maggiore, che è l’accordo della luce, ammantato di scuro: è davvero geniale. Diventa la tonalità del dubbio. E intanto il soprano canta: «Libera me, Domine, de morte aeterna»; è l’ultima esausta perorazione dopo averlo gridato, e quasi dopo aver inveito con questa richiesta che sembra un ordine al Padre Eterno (quasi gli volesse dire: «dal momento che mi hai creato, prenditi cura di me! È tua responsabilità»).

La chiave per comprendere il Requiem si trova dopo che il soprano canta: «Tremens factus sum ego et timeo», alla fine del Libera me. Nella partitura c’è scritto lunga pausa, ma la maggior parte dei direttori trascura questa indicazione. Il termine «tremito» significa più che «paura»; «et timeo» è come l’atteggiamento di un bambino, «Ho tanta paura». Il soprano sta pregando Dio, «Aiutami, sono nelle tue mani». Lunga pausa. Poi quegli accordi martellanti.

Questa è la chiave del Requiem: «Dio, ti prego, sono indifeso, come un bambino, aiutami». Silenzio. Cosa segue? Qual è la risposta? Ecco un altro punto di domanda. Dio non ha misericordia? O forse Verdi ritiene che Lassù non ci sia nulla che offra speranza? Poi di nuovo le parole «Libera me, Domine».

Bruckner scrisse per Dio, Verdi no. È un dramma dell’uomo moderno. Lunga pausa.

Ascoltando il Requiem bisogna prestare molta attenzione in questo punto: «et timeo», questa è la risposta. Terribile. In genere suggerisco ai professori d’orchestra e agli artisti del coro di non muoversi, di non sistemarsi gli abiti durante questa lunga pausa: i duecento interpreti devono mantenere la tensione emotiva, non tanto perché sono in palcoscenico durante un concerto, quanto perché devono riuscire a trasmetterla al pubblico.

Mozart scrisse che la sostanza della musica sta soprattutto fra una nota e l’altra: il silenzio talvolta è molto più significativo dei suoni. Questa lunga pausa fa parte della musica: perché alcuni direttori non la rispettano?

Il Requiem è stato



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