Le due vite di Lucrezia Borgia by Lia Celi Andrea Santangelo & Andrea Santangelo
autore:Lia Celi, Andrea Santangelo & Andrea Santangelo [Santangelo, Lia Celi, Andrea & Santangelo, Andrea]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788851170400
editore: Utet
pubblicato: 2019-04-09T22:00:00+00:00
Quasi quasi mi faccio uno shampoo
Fra le tante leggende legate a Lucrezia Borgia e al suo viaggio nuziale, così smisurato che già per i contemporanei acquista contorni fiabeschi, c’è quella dell’invenzione delle tagliatelle. In occasione del suo passaggio a Bologna, una delle sue ultime tappe prima di raggiungere Ferrara, il signore della città Giovanni II Bentivoglio avrebbe commissionato al suo chef, mastro Zefirano, un sontuoso banchetto per omaggiare la nobile ospite e il suo seguito (non sappiamo con quanto entusiasmo, visto che fra i Bentivoglio e i Borgia non correva buon sangue, sempre per colpa del solito espansionismo di Cesare). Come omaggio nell’omaggio, il cuciniere petroniano avrebbe inserito nel menu un nuovo piatto ispirato ai celeberrimi riccioli biondi di Lucrezia: sfoglia tagliata in lunghe strisce che ricordano ciocche dorate, praticamente delle extension (anzi, “estension”, trattandosi della duchessa di Ferrara) di pasta all’uovo.
Se la leggenda è vera, può darsi che quelle tagliatelle, oltre che con il ragù, fossero condite anche con un pizzico di ironia. I capelli di Lucrezia erano famosi non solo per la bellezza, ma anche per le cure maniacali che dedicava loro la proprietaria, e delle quali ormai tutta l’Italia era al corrente proprio grazie a quel lungo viaggio. Le tappe infatti erano predisposte in modo da permettere a Lucrezia di lavarsi i capelli e asciugarli ogni otto giorni al massimo, operazione né breve né semplice con una chioma lunga almeno un metro e mezzo, e nei mesi più freddi dell’anno. Questa irrinunciabile hair-routine, decisamente insolita per l’epoca, ha allungato a dismisura i tempi del viaggio e innervosito parecchi ferraresi, a cominciare dal suocero Ercole, che l’aspettava a Palazzo Ducale con la banda e le autorità. La nuora gli ha fatto sapere per mezzo di don Ferrante che lo shampoo settimanale è l’unico rimedio contro le sue ricorrenti emicranie e lui ci ha creduto – solo gli uomini possono bersi una scusa del genere. E solo le donne possono comprendere le vere esigenze di Lucrezia: niente mette a disagio come sentirsi i capelli in disordine, specie quando si sta per incontrare una cognata decantata per il suo look sempre impeccabile.
I capelli, nel Rinascimento come oggi, sono un atout fondamentale per la bellezza femminile: devono essere lunghi, folti e soprattutto biondi, possibilmente con una sfumatura fulva, il tipico “biondo veneziano” che vediamo in tutti i ritratti delle famose bellezze dell’epoca. E in questo senso va riconosciuto il fiero anticonformismo di Sancia d’Aragona, che si terrà sempre i suoi capelli color ebano, infischiandosene delle mode. Il biondo veneziano in natura è raro anche sulle teste delle veneziane, e per questo abbondano le ricette di impacchi schiarenti a base di erbe, succhi, spezie e additivi come urina, allume di rocca o zoccoli di cavallo macinati. Uno degli intrugli più celebri e meno disgustosi si deve alla Clio Make-up dell’epoca, la sagace Caterina Sforza, autrice di un manuale di cosmesi dal titolo Experimenti della excellentissima signora Caterina da Forlì, che nel Cinquecento si trova su tutti i tavolini da toilette, quelli delle nobildonne come quelli delle cortigiane honeste.
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