A piedi nudi sulla terra by Folco Terzani

A piedi nudi sulla terra by Folco Terzani

autore:Folco Terzani
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
ISBN: 9788852021572
editore: Mondadori
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


PIAZZA

Non sapevo nemmeno se potevo tornare. Dopo la mostra a Torino nel ’74 c’avevo tutti questi processi, mi avevano dato la libertà provvisoria, per cui avrei dovuto presentarmi in tribunale, curarmene. Invece ero partito, quella volta lì, avevo lasciato tutta una situazione in sospeso e non ero più ritornato.

Sono rientrato in Italia in modo rocambolesco nell’autunno del ’79, con un nome falso. Mi avevano arrestato nell’Himalaya, io non avevo passaporto e avevo dato tutte le generalità dell’ultimo passaporto con cui ero entrato in India, e che non era il mio.

«Tu come ti chiami?» mi hanno chiesto.

«Pincopallino.» Ho dato il nome che avevo usato per entrare.

«Da dove sei entrato in India?»

«Dalla frontiera di Amritsar» ho detto, specificando l’anno e il mese.

Sono andati a controllare e risultava corretto, c’era la copia del visto. E così mi hanno fatto il processo e condannato, tutto a nome di Pincopallino. Finiti i sei mesi mi hanno detto di presentarmi all’ambasciata italiana. All’ambasciata mi hanno dato subito un foglio di rientro con la mia foto, e un biglietto aereo per tornare in Italia. Sempre intestato a quest’altro.

Ormai era passato qualche anno e, visto che rientravo con un altro nome, nella mia incoscienza ero tranquillo. Quando sono arrivato all’aeroporto di Roma hanno visto questo foglio (“Dichiara di chiamarsi Pincopallino”) e mi hanno preso un attimo da parte. La prassi era quella.

«Senta, adesso qua ci vorrebbe qualcuno che la identifichi, che firmi un foglio di riconoscimento che lei è davvero Pincopallino. Com’è il numero di telefono dei suoi?»

«Mah, i miei non hanno il telefono...» Una cosa e un’altra.

Alla fine questo qua dice: «Vediamo se ha precedenti».

Hanno guardato nei loro archivi e, combinazione, questo era un passaporto di uno completamente senza precedenti.

«No, negativo. Vai, vai!»

E mi hanno mandato via.

A Torino per prima cosa sono andato da mio padre, che mi ha detto che dovevo tagliarmi i capelli per andare in ufficio da lui. Mi avrebbe organizzato qualcosa da fare.

«Perché in Italia non si può mica vivere così, qua bisogna lavorare!»

E niente, allora ho girato un po’, ho cercato di qua e di là dove poter stare. Prima sono andato a casa di una pittrice, ma a un certo punto non le andavo più bene. Poi ho trovato l’Eremo.

C’è un posto su una collina vicino a Torino che chiamano l’Eremo. Non c’ero mai stato, allora sono andato a vedere com’era. C’era stato un eremita lì, nei tempi dei tempi, ma adesso era tutto abbandonato. Dove aveva vissuto l’eremita c’era una grottina, poi ci avevano fatto un convento grossissimo. Col tempo anche il convento era stato abbandonato. Il giardino aveva alberi con la frutta sui rami e c’era un bosco cadente pieno di legna. Mi sembrava l’America.

Sono restato lassù quasi un mese. Sul terreno confinante c’era un ospedale. Io in questo eremo ci ho trovato tutto, anche un pozzo dove si poteva tirare su l’acqua con un secchio. Vicino al pozzo c’era un orto con cavolfiori, melanzane eccetera. Chi era che lo manteneva? Era il cuoco dell’ospedale, un sardo che, dato che c’era questo terreno abbandonato e l’acqua nel pozzo, veniva a coltivarsi l’orto.



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