Andromeda by Michael Crichton

Andromeda by Michael Crichton

autore:Michael Crichton [Crichton, Michael]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


VIII. Quinto livello

Il colore del quinto livello era un azzurro molto tenue. Indossarono le divise, e Burton fece da guida a Hall. « Anche questo piano, » disse, « è circolare, come gli altri. Una serie di cerchi concentrici, veramente. Ora ci troviamo lungo il perimetro esterno: qui vivremo e lavoreremo. Mensa, camere da letto, è tutto qui. Nel cerchio successivo ci sono i laboratori, e ancora più all'interno, completamente isolato da noi, c'e il nucleo centrale. E li che si trovano, adesso, il satellite e le due persone. » « Completamente isolati da noi? » « Sì. » « E come ci arriviamo? » « Hai mai usato una glove box?|» chiese Burton. Hall scosse il capo. Le glove boxes, spiegò Burton, erano grandi casse di plastica trasparente che servivano per maneggiare materiali sterili. I lati delle casse presentavano dei fori, che erano stati ermeticamente chiusi saldandovi lunghi guanti di gomma. Per manipolare il contenuto di una glove box, era sufficiente infilare le mani nei guanti e introdurle nella cassa. In questo modo solo i guanti venivano a contatto col materiale; le dita mai. « Abbiamo fatto un altro passo avanti, » disse Burton. « Disponiamo di intere sale che praticamente sono delle enormi glove boxes. Invece di un guanto per la mano c'è una tuta di plastica completa, per tutto il corpo. Vedrai. » Proseguirono lungo la curva del corridoio fino a una stanza sulla porta della quale si potevano leggere due parole: CONTROLLO CENTRALE. Dentro, Leavitt e Stone stavano lavorando in silenzio. Il Controllo Centrale era una stanza piccola e stretta, zeppa di strumenti elettronici. Una parete di vetro consentiva a chi vi lavorava di spingere lo sguardo nel locale adiacente. Attraverso il vetro Hall vide un paio di mani meccaniche spostare la capsula fino a un tavolo e deporvela. Hall, che fino a quel momento non aveva mai visto una capsula, la guardò con interesse. Era più piccola di quel che avesse immaginato, non più lunga di novanta centimetri; da una parte era bruciata e annerita dal calore del rientro. Le mani meccaniche, guidate da Stone, aprirono il portelletto triangolare della capsula per metterne a nudo l'interno. « Ecco, » disse Stone, togliendo le mani dai comandi. I comandi sembravano un paio di tirapugni d'ottone: l'operatore v'infilava le dita e muoveva le proprie mani a seconda dei movimenti che voleva far eseguire alle mani meccaniche. « Il passo successivo, » disse, « consisterà nel determinare se c'è ancora qualcosa, nella capsula, di biologicamente attivo. Proposte? » « Un ratto, » disse Leavitt. « Usiamo un Norvegia nero. » Il ratto di Norvegia nero non era affatto nero; questo nome indicava semplicemente una specie di animali da laboratorio, forse la più celebre di tutta la scienza. Un tempo, si capisce, era stato nero e norvegese; ma anni di incroci e innumerevoli generazioni lo avevano reso bianco, piccolo e docile. L'esplosione biologica aveva accresciuto la domanda di animali geneticamente uniformi. Negli ultimi trent'anni si erano sviluppate artificialmente più di mille specie di animali « puri ».



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