Aria di Russia by Claudio Pavone

Aria di Russia by Claudio Pavone

autore:Claudio Pavone [Pavone, C.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: i Robinson / Letture
ISBN: ff4928c684880299ed4d98ceede422995bcb053f
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2016-01-01T05:00:00+00:00


19 settembre

Questa mattina visita all’Istituto storico archivistico, che si trova in quella parte della vecchia Mosca che è chiamata «città dei cinesi» ed è circondata, almeno da un lato, da mura che assomigliano a quelle del vicino Cremlino. L’Istituto ha sede in un edificio molto antico, che prima, a quanto mi dice Papavian, aveva ospitato la zecca. Ha alcune mura esterne dipinte di un verdino che, se non fossimo qui, griderebbe vendetta al cielo. Dentro vi è un gran numero di studenti e studentesse, che circolano ininterrottamente per corridoi stretti, salette incastrate una dentro l’altra, scale e scalette: tanta gente da far invidia ai nostri docenti di archivistica, che in tutta la vita non avranno tanti studenti quanti qui ne passano in un solo anno (500 nei corsi diurni e 600 in quelli serali). Parlo con il vicedirettore e con una professoressa che si mostra molto informata di archivi e archivisti italiani (insegna infatti Organizzazione archivistica straniera). Visito l’edificio, piuttosto interessante per la sua malandata vecchiaia. Nel cortile forte odore di cavoli per la mensa degli studenti. Molto belli un locale, dove si fa lezione sulle fonti e la loro metodologia, e la relativa anticamera: due notevoli stufe con maioliche del Settecento, un paio di porte ad ogiva di pesante legno scolpito, un soffitto a volta affrescato. L’anticamera si direbbe abbia ispirato le ricostruzioni che nei nostri teatri si fanno della cella del monaco in Boris Godunov.

Mi portano a visitare anche la scuola di microfilm, mezzi meccanici, ecc. È diretta da un vecchietto simpatico e squinternato, con occhiali cerchiati d’oro, pochi capelli piuttosto dritti sulla testa, vestito con una trasandatezza che si nota anche qui (porta una giacchetta nocciola chiaro lisa ed attillata, su calzoni indefinibili). È vivace ed allegro, parla moltissimo, mentre attorno a lui studenti ed altra gente fanno la massima confusione, tanto che per farsi sentire occorre gridare. Mi conduce a vedere certe macchine di cui sembra particolarmente fiero, assicurandomi che in Italia è impossibile ce ne siano di pari. Fa compiere alcune prove ad un giovanotto roseo, che appare a sua volta molto compreso della sua funzione. Il vecchietto parla volentieri dell’Italia, di Firenze, degli archivi italiani, sempre con aria estremamente soddisfatta. Per ambulacri e scalette buie, scusandosi per la vecchiaia dell’edificio, mi riconduce nella stanza del vicedirettore. Gli esprimo la speranza di rivederlo in Italia o in qualche convegno internazionale. Il vecchietto, sempre di buon umore, si mette una mano sul cuore e dice: «tre infarti». Gli raccomando di riguardarsi, e ci salutiamo tra rinnovate manifestazioni di reciproca simpatia. Mentre usciamo, dico a Papavian che il vecchietto mi è sembrato uno di quei personaggi russi, fra lo stravagante, il genialoide e il grottesco, che Dostoevskij descrive così bene. Papavian è perfettamente d’accordo e ridacchia: «proprio così, proprio così».

Andiamo a mangiare in una delle tante divisioni e sottodivisioni del Moskva: alla toilette di così pretenzioso locale, trovo però appesa al soffitto una fila di carte moschicide nere di mosche (in genere le toilettes sono piuttosto malandate).



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