Beviamo un altro bicchiere? by unknow

Beviamo un altro bicchiere? by unknow

autore:unknow
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2023-07-31T12:00:00+00:00


Il bizzarro sakè del Guizhou

Koizumi Takeo

In Cina ci sono delle espressioni talmente esagerate da fare spavento, che superano di gran lunga persino il tradizionale detto “fare di un ago un palo”. Ad esempio c’è “Capelli bianchi lunghi tremila jō”, che è un detto che esprime in maniera enfatica il fatto che, in lunghi anni, l’accumulo di preoccupazioni fa crescere lunghissimi i capelli bianchi, mentre “Con troppi capitani la nave sale su in montagna” significa che, se a bordo di una nave c’è più di un capitano, questa finisce per procedere in una direzione insolita e ad arrampicarsi su un monte. Già da tempo ero interessato a tali espressioni popolari della Cina e alle loro origini, ma siccome sono un campione mondiale di golosità, da un certo momento in poi ho concentrato la mia attenzione in particolare sulle espressioni esagerate o le iperboli relative ai cibi e agli alcolici. E così, rimanendo nei limiti di un semplice hobby, ogni volta che trovavo il tempo mi mettevo a ricercare dei testi cinesi, ed è in quel modo che mi sono imbattuto molte volte in storie maestosamente esagerate, che andavano ampiamente al di là dell’essere semplicemente poco credibili, o delle fanfaronate che mi hanno fatto divertire veramente tanto.

Tra queste c’era l’espressione “sakè dei mille anni”, riguardo a un sakè che era un elisir di lunga vita, e se lo bevevi una volta potevi vivere per mille anni. È una storia dell’epoca di Wu, il settimo imperatore della dinastia degli Han occidentali. Tra i suoi sudditi c’era un daoshi (un funzionario) di nome Tōhōsaku. Questo personaggio era estremamente astuto, e anche disonesto. In quel periodo l’imperatore Wu era entrato in possesso del sakè prodotto da un asceta che viveva sul monte Jiuxiang nello Yueyang, e credeva che, bevendolo a piccoli sorsi, avrebbe ottenuto l’immortalità. Ma quando scoprì che Tōhōsaku, di nascosto dagli sguardi altrui, lo beveva sottraendoglielo, l’imperatore Wu andò su tutte le furie e lo condannò a morte per decapitazione. Tuttavia, quell’uomo, come se niente fosse, contrattaccò dicendo «Accetto con gioia la mia punizione. Tuttavia, essendo io uno che ha bevuto il sakè dell’immortalità, se pure sua maestà mi tagliasse la testa io non morirei, dico bene? E se invece, per combinazione, io dovessi morire, ciò significherebbe che il sakè dell’immortalità non ha efficacia». La storia vuole che, da grande imperatore quale era, Wu ci rifletté su per un po’, e poi, avuta un’illuminazione, annullò la condanna alla decapitazione. In seguito Tōhōsaku si dileguò da qualche parte e fece perdere le sue tracce, e così, pare che in Cina, nell’arco dei più di mille anni a seguire, sia continuata in maniera più che plausibile la controversia per stabilire se fosse morto oppure vivesse ancora in qualche luogo.

Quando avevo trovato questa storia in un libro cinese mi ero emozionato per la magnificenza con cui il “sakè dei mille anni” si ricollegava ai mille anni successivi per i quali era andata avanti la diatriba. Tuttavia, se paragonata alla leggenda del sakè dei mille anni, quella



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