Brennan-Jobs Lisa - 2018 - Pesciolino by Brennan-Jobs Lisa

Brennan-Jobs Lisa - 2018 - Pesciolino by Brennan-Jobs Lisa

autore:Brennan-Jobs Lisa [Brennan-Jobs Lisa]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Biography & Autobiography, General
ISBN: 9788858694268
Google: R0hqDwAAQBAJ
Amazon: B07GNX7Q9R
editore: Rizzoli
pubblicato: 2018-09-03T22:00:00+00:00


Laurene si trasferì nella casa di Waverley Street. Un sabato di qualche settimana dopo andai da loro e la trovai di sopra che si stava mettendo degli indumenti sportivi. Portava un anello nuovo. «Ci siamo fidanzati» disse, e mi mostrò la mano. L’anello aveva un diamante rosa taglio smeraldo. «Avevo già ricevuto due proposte» disse. Mio padre era a fare la spesa, ma quando tornò corsi da lui. «Ho visto l’anello» dissi mentre entrava dal cancello. «Congratulazioni.»

«Potrebbe comprarci una casa, con quello» commentò «ma non dirglielo», quasi temesse che avrebbe potuto lasciarlo se avesse saputo quanto valeva l’anello. Mi passò accanto per entrare in casa e mettere il succo in frigorifero.

Qualche volta andavo alla casa di Waverley Street quando Laurene e Steve erano fuori, a metà pomeriggio. Non chiudevano mai la porta a chiave. Entravo dall’ingresso, che si apriva su una piccola anticamera da cui si andava in cucina. La luce del sole creava macchie a forma di continente sul muro. Era tranquillo, lì. Una tortora americana trillava due note, acuta e bassa, acuta e bassa, e la seconda pareva far oscillare le chiazze di luce.

Sul bancone della cucina c’era una confezione di datteri Medjool e accanto una scatola di legno con delle ciliegie di qualità Bing provenienti da un’azienda agricola dei dintorni; si diceva che venissero mandate anche a re, scià e sceicchi, ed erano sistemate in file perfette sotto uno strato di carta velina, con i piccioli nascosti sotto i frutti, lucidi e scuri come scarabei.

C’era una ciotola di rossi manghi maturi. Quando mia madre e io compravamo i manghi, lo facevamo solo perché erano carissimi. Qui di manghi ce n’erano quanti ne volevi.

Giravo per la casa. La vedova che ci abitava prima aveva lasciato nella dispensa latte di vernice, confezioni di pennelli, barattoli vuoti di chiodi, bottiglie d’olio e istruzioni scritte su pezzetti di fogli a righe in un raffinato corsivo inclinato.

La casa mi dava l’impressione di essere viva. Andai nel passaggio vetrato che si affacciava sul giardino. In sostanza era la mia casa, mi dicevo. Era la casa di mio padre e io ero sua figlia. Ero sicurissima che mi fosse permesso stare lì, ma non volevo comunque essere beccata a ficcanasare in giro.

La casa di Rinconada tremava per i terremoti e il passaggio dei treni, con i vetri delle finestre che sbatacchiavano. Qui era tutto immobile. Era più lontana dalla ferrovia, e da lì non si vedevano Alma Street né i binari. I muri erano spessi e pieni, le soglie e i corridoi ampi e col soffitto a volta, come nelle missioni spagnole.

Salivo i gradini di pietra che portavano al primo piano reggendomi alla sottile ringhiera di ferro e passando sotto una lunga lanterna di carta che oscillava lievemente alla brezza, come se un filo attaccato al petto mi tirasse verso l’armadio di Laurene e il suo cassettone, mentre sentivo salire la pressione dentro di me. Desideravo comprenderla… capire se potessi somigliarle di più.

Un paio di settimane prima le avevo chiesto: «Se dovessi scegliere tra vestiti o biancheria, cosa compreresti?».



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