C'era una volta l'URSS by Dominique Lapierre

C'era una volta l'URSS by Dominique Lapierre

autore:Dominique Lapierre
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Unione sovietica,
editore: Il Saggiatore
pubblicato: 2017-07-29T04:00:00+00:00


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Nelle grinfie della polizia militare dentro una base ultrasegreta

L’Ucraina, granaio dell’immensità russa! Il terzo personaggio del nostro reportage sui russi speriamo di scovarlo in un kolchoz nei dintorni di Kiev. Il direttore dell’Inturist locale si affretta a suggerirci la visita di molti kolchoz vicino alla città. Decliniamo cortesemente gli inviti ufficiali. Cercheremo da soli il nostro kolchoz e il nostro contadino.

La strada che imbocchiamo per caso è sbarrata subito dopo un enorme manifesto con un vecchio barbuto che grida a un giovane contadino: CRESCI BENE, CARO SUCCESSORE, e per diversi chilometri è percorribile solo sulla banchina. La ragione è sorprendente: sull’asfalto sta asciugando il grano del raccolto che prosperose contadine scalze stanno spargendo con grandi pale di legno. Quando i chicchi sono perfettamente asciutti, le donne riempiono i sacchi, poi li pesano e li ammucchiano a lato della banchina dove i camion vengono a prelevarli. Evapora così, nel caldo dell’estate, l’umidità che impregna il ricco frumento della nera terra ucraina.

Un sentiero sterrato che conduce a un gruppetto di edifici suscita a un tratto la nostra curiosità. Poveri noi! Dopo poche centinaia di metri la Marly sbanda e si impantana profondamente nella terra fradicia a causa delle recenti piogge. Impossibile avanzare o indietreggiare. La disavventura piace moltissimo a Slava, che stiamo decisamente trascinando in una scoperta poco ortodossa del suo paese. Jean-Pierre immortala il nostro naufragio grazie alla Leica che porta sempre appesa al collo. Mentre io tento di liberare le ruote a colpi di piccone, ecco che spuntano da ogni parte squadre di soldati. Un ufficiale si precipita verso Jean-Pierre per strappargli l’apparecchio fotografico. La faccia giuliva del nostro compagno russo si fa costernata. Infilandoci in quel sentiero, con ogni evidenza abbiamo commesso un errore. Ma quale?

L’ufficiale al quale Jean-Pierre rifiuta di consegnare l’apparecchio interpella con violenza Slava. Veniamo così a sapere che la macchina e noi, suo sventurato equipaggio, siamo finiti nel cuore di una zona militare ad alta sicurezza, dove per di più abbiamo perpetrato il reato di scattare fotografie. L’ufficiale ordina ai soldati di scortarci fino all’edificio che avevamo preso per un kolchoz. Circondato da una doppia recinzione di filo spinato, lo sorvegliano truci sentinelle con il mitra al fianco. I soldati ci spingono dentro una stanza completamente vuota dove ci rinchiudono immediatamente con gran rumore di chiavistelli. Attraverso un finestrino protetto da tre robuste sbarre filtra un po’ di luce. Mi avvicino, e di colpo sento il cuore fermarsi. Quello che vedo mi fa temere una deportazione immediata in Siberia. Sul grande piazzale davanti all’edificio sono infatti allineati, sotto reti mimetiche, una dozzina di grossi cannoni antiaerei e un bel fascio di antenne paraboliche rivolte verso il cielo. Osservo i visi di Aliette e di Annie, ma non vi scorgo segni di angoscia. Chruščev si era sbagliato a metterci in guardia: le insidie delle strade sovietiche non indurranno le nostre mogli a chiedere il divorzio. Incoscienza? Il nostro arresto sembra anzi divertirle alquanto. Non è il caso del povero Slava che si rende perfettamente conto della precarietà della situazione.



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