Che profumo quei libri by Mughini Giampiero

Che profumo quei libri by Mughini Giampiero

autore:Mughini Giampiero [Giampiero, Mughini]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bompiani
pubblicato: 2018-05-15T22:00:00+00:00


GAETANO PESCE, Il rumore del tempo, a cura di Silvana Annicchiarico, catalogo della mostra alla Triennale di Milano, Milano, Charta, 2005.

Una mostra magnifica, un magnifico catalogo, un magnifico libro d’artista da custodire con cura. Tanto per darvi un’idea di che cosa stiamo parlando, il catalogo ha in copertina una sorta di autoritratto di Pesce, una sagoma come sbrindellata che risulta dalla combinazione dei seguenti materiali: setole di maiale, fibra di cocco, lattice di gomma, silicone e stampa serigrafica a colori. Il tutto realizzato in un laboratorio di Venezia, la città in cui Pesce è cresciuto e nella cui università ha studiato architettura. (Di tutti i suoi maestri all’università lui ha sempre ricordato Bruno Zevi. Con Carlo Scarpa invece i rapporti non furono dei migliori.)

Eravamo appena entrati nel terzo millennio, il 2005, quando finalmente le istituzioni culturali italiane pagarono il debito contratto già da un quarto di secolo con un artista italiano celebrato in tutto il mondo, il designer/artista Gaetano Pesce. I francesi la prima mostra di rilievo gliel’avevano fatta a Parigi già nel 1975. E del resto Pesce (nato a La Spezia nel 1939) si era trasferito a Parigi men che trentenne, ci visse a lungo, per poi andarsene nel 1983 a New York, dove tuttora vive e lavora. Aveva debuttato con un gruppo di avanguardia culturale di Padova nel 1959. La sua strada di designer radicale l’aveva imboccata alla Cassina degli anni settanta, apprezzato da un Cesare Cassina che si accorse subito di avere a che fare con un genio. Per la Cassina disegna tavoli e sedie che diverranno iconiche, ma di cui il pubblico italiano all’epoca acquistava poco e niente. Quando nel 1994 entrai nello showroom romano della Cassina, in via del Babuino, a chieder loro se avessero qualcuno degli arredi disegnati da Pesce con cui volevo arredare uno studio che avevo appena fittato, la direttrice dello showroom mi disse che era la prima volta che un cliente glieli chiedeva. Sul frontale della mia casa romana, a Monteverde, c’è un elenco di nomi di poeti e designer e fotografi che sono come ospitati nella casa, nel senso che io ne amo talmente le opere con le quali convivo tutti i giorni. Il secondo nome dell’elenco è quello di Gaetano Pesce. Di tutto quanto era stato messo in mostra alla Triennale comprai quattro opere. Dalla casa/archivio newyorchese di Pesce erano trasvolate a Milano. Da Milano vennero poi trasferite a casa mia, delicatissime da disimballare e proteggere.

Il 2005 era un anno giusto per mettere in vetrina il lavoro più che trentennale di Pesce e dargli un rango. Andavi alla Triennale, percorrevi stanze e stanze zeppe di invenzioni e di sorprese ammalianti, quei colori brucianti che ti avvolgevano come in un rogo. Trent’anni in cui Pesce si era inventato tutto e di tutto, a cominciare dall’uso di una resina chimica assieme sgargiante e duttile, il silicone. Aveva cominciato a studiarne le valenze nella facoltà di chimica di un’università americana, per poi accorgersi che ci si poteva trarre tutto quello che un artista voleva.



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