Cigni selvatici: Tre figlie della Cina by Jung Chang

Cigni selvatici: Tre figlie della Cina by Jung Chang

autore:Jung Chang [Chang, Jung]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Biography & Autobiography, General, Fiction
ISBN: 9788830441019
Google: KyS9AwAAQBAJ
Amazon: B00KSBTL9M
editore: Longanesi
pubblicato: 2014-06-18T22:00:00+00:00


Alla fine del 1958, al culmine del Grande Balzo in Avanti, fu varato un enorme progetto edilizio: la costruzione di dieci grandi edifici nella capitale, Pechino, da completarsi in dieci mesi per celebrare il decimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare, il primo ottobre 1959.

Uno dei dieci edifici doveva essere la Grande Casa del Popolo, un edificio con un colonnato in stile sovietico posto sul lato occidentale della piazza Tiananmen. La facciata di marmo era lunga circa quattrocento metri e la sala principale dei banchetti, adorna di lampadari, contava migliaia di posti a sedere: in quella sala si sarebbero tenute riunioni importanti e i dirigenti avrebbero ricevuto i visitatori stranieri. Le sale, tutte di dimensioni imponenti, avrebbero ricevuto ciascuna il nome di una provincia della Cina. Mio padre fu incaricato della decorazione della Sala Sichuan e, quando il lavoro fu completato, invitò a ispezionarla i leader del Partito che avevano qualche rapporto con il Sichuan. Venne Deng Xiaoping, che era originario del Sichuan, così come il maresciallo Ho Lung, un celebre personaggio alla Robin Hood che era stato uno dei fondatori dell’Armata Rossa ed era amico intimo di Deng.

A un certo punto mio padre fu convocato altrove e lasciò i due a parlare da soli con un loro vecchio collega, per la precisione il fratello di Deng. Rientrando nella sala, sentì il maresciallo Ho dire all’altro, indicando Deng: «In realtà dovrebbe esserci lui, sul trono». In quel momento videro mio padre e smisero subito di parlare.

Dopo quell’episodio, mio padre fu colto da una grande apprensione: sapeva di aver udito, sia pure incidentalmente, qualcosa che rivelava l’esistenza di disaccordi al vertice del regime, e qualsiasi reazione, o mancanza di reazione, avrebbe potuto essergli fatale. In realtà non gli accadde niente, ma quando me ne parlò, quasi dieci anni dopo, disse che da allora aveva vissuto nel timore di una catastrofe: «Il solo fatto di aver sentito una frase del genere equivaleva ad alto tradimento», disse, usando un’espressione che significava «un reato che comporta la decapitazione».

Ciò che aveva udito per caso non era che il segnale di una disaffezione nei confronti di Mao, sentimento condiviso da molti fra i massimi esponenti del Partito, non ultimo dal nuovo presidente Liu Shaoqi.

Nell’autunno del 1959 Liu venne a Chengdu per ispezionare una comune chiamata «Splendore Rosso». L’anno precedente, Mao aveva espresso un apprezzamento entusiastico per la sua astronomica produzione di riso. Prima dell’arrivo del presidente Liu, i funzionari del posto fecero una retata di tutti coloro che avrebbero potuto smascherarli e li rinchiusero in un tempio. Liu, però, aveva una «talpa» e, passando davanti al tempio, si fermò e chiese di dare un’occhiata all’interno. I funzionari addussero varie scuse, sostenendo persino che il tempio era pericolante, ma Liu non si lasciò dissuadere. Alla fine la grossa serratura arrugginita fu aperta e un gruppo di contadini male in arnese uscì alla luce, incespicando. I funzionari locali, imbarazzati, tentarono di spiegare a Liu che erano «teste calde», rinchiuse lì dentro nel timore che potessero fare del male all’illustre ospite.



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