Come diventai monaca by César Aira

Come diventai monaca by César Aira

autore:César Aira [Aira, César]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Fazi Editore
pubblicato: 2019-04-19T22:00:00+00:00


7

Arrivò l’inverno, e la mamma si mise a fare la stiratrice. Passavamo rinchiuse pomeriggi eterni, ascoltando la radio, lei con la schiena curva sulle stoffe fumanti, io con gli occhi fissi sul mio quaderno, entrambe con l’anima che ballonzolava nei luoghi più curiosi. Ci eravamo create una routine immutabile. La mattina la accompagnavo per le commissioni, facevamo colazione presto, mi portava a scuola, mi veniva a prendere alle cinque e poi non uscivamo più. Ci perdevamo lungo le strade della radio, in un labirinto che sono in grado di ricostruire passo per passo.

Tutto questo racconto che ho intrapreso si basa sulla perfezione della mia memoria. La memoria mi ha permesso di fare tesoro di ogni istante trascorso. Anche degli istanti eterni, quelli che non sono passati e che chiudono gli altri nella loro capsula d’oro. E quelli che si sono ripetuti, che naturalmente sono la maggioranza.

Ebbene: la mia memoria si confonde con la radio. O, per meglio dire: io sono la radio. In virtù della perfezione senza difetti della mia memoria, sono la radio di quell’inverno. Non l’apparecchio, il meccanismo, bensì ciò che ne veniva fuori, la trasmissione, il continuum, quello che si trasmetteva sempre, anche quando la spegnevamo, o quando dormivo o ero a scuola. La mia memoria contiene tutto, ma la radio è una memoria che contiene se stessa, e io sono la radio.

Non concepivo la vita senza la radio. Il fatto è che, in realtà, se si decide di definire la vita come radio (una piccola operazione intellettuale che vale come qualsiasi altra) si ottiene automaticamente una pienezza su cui vivere. Anche per mamma era importante, le teneva compagnia... Bisogna considerare che la disgrazia ci aveva colpito subito dopo il nostro trasferimento a Rosario, dove non avevamo né parenti né amicizie. Le circostanze furono poco propizie per farne, di queste ultime, sicché la mamma era sola soletta... C’ero io, certo, ma io, pur essendo tutto, ero ben poco. Lei era una donna socievole, grande conversatrice... Senza proporselo, cominciò a conoscere gente, fra i negozianti dove faceva le compere, fra i vicini, poi fra i clienti dell’asse da stiro. Tutti erano avidi delle sue recenti vicende, che lei raccontava innumerevoli volte... Si ripeteva un po’, ma era inevitabile. La sua vita si rivolgeva fatalmente alla società, quell’inverno fu soltanto una parentesi... La radio compiva una funzione; nel suo caso era strumentale: le restituiva le sue parti disperse, le restituiva la sua coerenza di signora, di padrona di casa... Io invece raggiungevo una totale identificazione con le voci dell’etere... Le incarnavo.

Quei pomeriggi, quelle serate in realtà, poiché faceva buio molto presto, e ancora di più nella nostra stanza, avevano un’atmosfera protettiva, da rifugio, che soprattutto io mi godevo al massimo, non so perché. Erano una specie di paradiso, e come tutti i paradisi ottenuti a bassissimo prezzo somigliava a un inferno. Il lavoro di stiro obbligava la mamma a questa reclusione, a cui si prestava peraltro di buon grado, compiacendosi del paradiso apparente, dato che non era una donna che vedesse al di là delle apparenze.



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