Dalla crisi dell'Irpef alla flat tax by Dario Stevanato

Dalla crisi dell'Irpef alla flat tax by Dario Stevanato

autore:Dario, Stevanato [Stevanato, Dario]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Diritto, Percorsi
ISBN: 9788815332554
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2017-09-14T22:00:00+00:00


4. Equità orizzontale, un «convitato di pietra» nel dibattito su progressività e «flat tax»

La presunta superiorità assiologica, sul piano dell’equità e uguaglianza dei sacrifici, di un’imposta sul reddito ad aliquote graduate, rispetto a un tributo proporzionale con esenzione del minimo vitale ed eventualmente altre deduzioni personalizzate, sembra come abbiamo visto non tener conto della realtà dei sistemi tributari vigenti. Nell’inseguire un ideale astratto di «equità verticale», viene sacrificato l’importante valore dell’«equità orizzontale», diretta espressione dell’art. 3 Cost., dato che molti redditi già oggi scontano aliquote proporzionali (cedolari secche).

Senza poi contare che, come recenti evidenze empiriche paiono dimostrare, la flat tax, nell’assicurare maggiori vantaggi sul piano dell’equità orizzontale, regge benissimo il confronto con l’imposta ad aliquote progressive anche sul terreno dell’equità verticale[29].

Un’imposta graduata, applicata in modo selettivo ad alcune categorie e fonti reddituali, implica disparità di trattamento tanto meno socialmente tollerabili quanto più aumenta la distanza tra aliquote progressive e cedolari secche, in special modo quando le prime vengono applicate agli earned income (di lavoro e impresa individuale), sovvertendo il postulato della discriminazione qualitativa dei redditi. Anziché aggravare i redditi «non guadagnati» e «perpetui», ovvero basati sul capitale[30], questi sono oggetto di un trattamento più benevolo.

L’esclusione di molti redditi dall’imposta progressiva si traduce insomma in una duplice iniquità: sul piano orizzontale, perché a parità di reddito posseduto discrimina i contribuenti in relazione al tipo di fonte produttiva, peraltro tassando di più proprio i redditi di lavoro, anziché quelli fondati sul capitale; in linea verticale, omettendo di differenziare, nonostante la progressività delle aliquote formali, tra redditi di diverso ammontare[31].

I fautori di un aumento della progressività sui redditi più elevati, onde colpire i «ricchi» e i «benestanti» e attuare così dirette redistribuzioni di reddito a vantaggio dei meno abbienti[32], trascurano che il sistema italiano di tassazione dei redditi (ma la situazione in altri paesi non è molto diversa) è nella sostanza un sistema «schedulare», ampiamente basato sull’applicazione di cedolari e imposte sostitutive proporzionali a molte categorie reddituali, dai frutti del risparmio ai dividendi, dai capital gains alle plusvalenze immobiliari, dai canoni di locazione ai redditi di lavoro autonomo e d’impresa prodotti da soggetti che iniziano l’attività o generano un basso volume d’affari.

Ne consegue che le aliquote progressive dell’Irpef si applicano, alla prova dei fatti, soltanto ai redditi da lavoro, dipendente e autonomo, e a quelli di imprese che esercitano l’attività avvalendosi in maniera significativa dell’apporto personale dell’imprenditore o dei soci.

La base imponibile dell’imposta personale sul reddito «complessivo» delle persone fisiche non è dunque affatto rappresentativa della reale allocazione delle ricchezze nella società. Proposte come quelle di Piketty[33] o di Stiglitz[34], volte a innalzare le aliquote progressive a una soglia – ritenuta «ottimale» – superiore all’80 per cento, sono tanto assurde quanto ingenue, poiché, per come sono concepiti gli ordinamenti tributari, le stesse colpirebbero quasi esclusivamente i redditi di lavoro, aumentando ancor più il tasso di sperequazione nel sistema. D’altra parte tali proposte confermano il concreto pericolo rappresentato da quella che, con formula icastica, è stata definita trappola della progressività[35].

È poi singolare che si critichi il modello della flat tax per una sua presunta contrarietà all’art.



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