Giustizia politica e magistratura dalla Grande Guerra al fascismo by Giancarlo Scarpari;
autore:Giancarlo, Scarpari; [Scarpari, Giancarlo ]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Storia, Studi e Ricerche
ISBN: 9788815350756
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2019-08-15T00:00:00+00:00
A parte il prevedibile allineamento con il governo nel definire il conflitto in atto come un contrasto tra opposte fazioni, lâarticolo sembrava ammettere, usando un eufemismo, che la magistratura non aveva fatto fino in fondo il proprio dovere, a causa del mancato sostegno offertole dalla società politica e da quella civile. Lâintervento, come sempre, rifuggiva dal riferirsi a fatti concreti, ma almeno accennava a una qualche responsabilità della magistratura per lâimbarbarimento in atto e poteva essere letto come lâinizio di una più approfondita riflessione (che avrebbe potuto chiarire, tra lâaltro, in cosa consistevano gli «atti di eroismo» richiesti ai magistrati).
Ma dopo una settimana, rispondendo alle critiche dei socialisti che accusavano la magistratura di praticare una giustizia di classe, Cirillo, intervenendo nuovamente sulla rivista, respingeva gli addebiti, sostenendo che chi amministrava la giustizia si poneva «al di sopra di tutti gli interessi e di tutti i ceti», troncando così ogni discussione e chiudendosi nella logica e nel recinto corporativo[12].
In quel periodo, infatti, la rivista e i dirigenti dellâAssociazione si impegnarono nel sollecitare lâapprovazione della parziale riforma dellâordinamento giudiziario, poi varata con il r.d. 14/12/1921 dal Guardasigilli Rodinò; e salutarono con favore la norma che estendeva al pretore la garanzia dellâinamovibilità dopo tre anni e quella che portava da 75 a 70 anni il limite dâetà per i dirigenti degli uffici superiori (e questo comportò la decapitazione dei vertici dellâapparato, con la messa a riposo di 26 alti magistrati); ma soprattutto accolsero con particolare entusiasmo la parte della riforma che prevedeva lâeleggibilità del CSM, sia pure con un doppio grado di votazione, da parte di tutti i magistrati, esclusi gli uditori[13].
Questo fu il punto più controverso nelle discussioni degli addetti ai lavori perché, soprattutto simbolicamente, rompeva nettamente con la tradizione; Lucchini, poi, uno dei 26 magistrati messi a riposo, attaccò lâAssociazione, accusandola di voler «avere in mano il mestolo del pentolone giudiziario» e accusò il ministro di voler «soggiogare» la magistratura «ai soviettisti Briganti, ai vari Cirilli e Cirillini e ad altri capoccia del sodalizio»[14].
La rivista dellâAGMI sottolineò ovviamente i punti della riforma che dimostravano presso gli associati lâincidenza e la forza propositiva del gruppo; tuttavia, nel pubblicare il testo del decreto, omise di riportare la norma che invece, troncando il dibattito in corso e le aspettative di molti, ribadiva la posizione del pubblico ministero quale rappresentante dellâesecutivo e gli negava la garanzia dellâinamovibilità ; Cirillo non commentò questa decisione del governo, la rivista continuò a elogiare il ministro e solo nel febbraio successivo un collaboratore, Vincenzo Isoldi, sostenne che tale decisione era «incomprensibile», frutto di «una superfetazione derivata dal vecchio ordinamento»[15].
Critica debole, questa, poiché in realtà non si trattava di un semplice residuo del passato, bensì dellâaffermazione di un principio â quello della dipendenza del pubblico ministero dallâesecutivo â che proprio le esigenze del momento rendevano di stretta attualità e che anche il ministro cattolico, come già i suoi predecessori liberali, intendeva tenere ben fermo per il presente e per il futuro. I dirigenti dellâAGMI non avevano mai chiesto di rescindere completamente
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