Dante by Marco Santagata

Dante by Marco Santagata

autore:Marco Santagata
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
Tags: italiana, Contemporanea, General, Saggi, Biography & Autobiography, Letteratura
ISBN: 9788852028335
editore: Edizioni Mondadori
pubblicato: 2012-08-27T22:00:00+00:00


Un ghibellino a oltranza

Dopo l’udienza Dante si sarà trattenuto presso la corte? Se sì, per quanto tempo? Se no, dove si sarà diretto? È improbabile che sia ritornato a Forlì: i vicari di Roberto d’Angiò controllavano strettamente la Romagna e lui, non si dimentichi, era uno sbandito costantemente a rischio di morte. Risulta invece con certezza che tra il marzo e il maggio 1311 si trova nel Casentino.

Da lì fa partire due epistole-manifesto indirizzate, la prima, agli «scelleratissimi fiorentini» (scelestissimis Florentinis), la seconda, a Enrico di Lussemburgo. La prima è datata «31 marzo, sui confini della Toscana (in finibus Tuscie), alle fonti dell’Arno (sub fontem Sarni), nel primo anno della faustissima discesa del Cesare Enrico in Italia»;113 la seconda, «17 aprile, in Toscana, presso le sorgenti dell’Arno, nel primo anno del faustissimo viaggio dell’imperatore Enrico in Italia».114 Entrambe le epistole sono violentemente antifiorentine. Questo, unito a considerazioni di tipo geografico, è il principale motivo per escludere che esse siano state scritte e spedite, come spesso viene affermato, dal castello di Poppi dei Guidi di Battifolle. Poppi non è vicina alle sorgenti dell’Arno, anzi, ne dista parecchi chilometri; vicino, invece, e collocato proprio al di sotto delle sorgenti del Falterona, non lontano dal crinale, cioè dal confine romagnolo (in finibus), è il castello di Porciano dei Guidi di Modigliana. Mentre da un castello dei Battifolle Dante non avrebbe potuto diffondere epistole di quel tenore, nel ghibellino Porciano non avrebbe avuto simili preoccupazioni.

Il tono quasi profetico e lo stile apocalittico delle epistole non devono impedire di cogliere quanto esse siano saldamente riferite a concreti e attuali problemi politici. A scrivere non è un Dante profeta solitario, ma un Dante che interpreta il pensiero di un intero schieramento e agisce in accordo con esso.

Enrico intendeva imporre alla Tuscia e alla Lombardia una riaffermazione di diritti imperiali che non fosse solamente formale, limitata cioè ad atti d’ossequio e al pagamento di qualche tributo, senza intaccare le autonomie conquistate dalle città comunali o tiranniche in un paio di secoli di lotte. Tutt’altro. Egli coltivava un disegno, ben chiaro ai fiorentini, di vera restaurazione. La sostituzione dei magistrati eletti con vicari che rispondevano direttamente a lui lo dimostrava. Ancor più intollerabile, soprattutto per Firenze, capitale finanziaria grazie al fiorino, era il progetto di riforma monetaria al quale stavano lavorando i giuristi imperiali. Comunque si fosse realizzato (e decreti in merito sarebbero stati emessi nell’agosto 1311), il progetto di coniare monete imperiali in luogo di quelle correnti avrebbe arrecato un colpo durissimo all’economia fiorentina. Il problema più spinoso in assoluto, però, era quello dei diritti che le città si erano arrogati e della prescrizione di quelli imperiali.

Le città dell’Italia centro-settentrionale si erano espanse impadronendosi, o con transazioni economiche o, più spesso, con la forza, di castelli, torri, borghi rurali, feudi immediatamente soggetti all’impero. Dal punto di vista giuridico erano azioni illegittime e prevaricatrici: i feudatari e gli altri detentori di quei diritti soppressi avevano subito una sopraffazione (tanto più che, se resistevano, venivano considerati ribelli o, addirittura, banditi di strada).



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