De Gasperi Visto Da Vicino by Giulio Andreotti

De Gasperi Visto Da Vicino by Giulio Andreotti

autore:Giulio Andreotti
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2014-04-07T16:00:00+00:00


Accanto alla propaganda esterna (patto di pace e non di guerra) per contrastare la capillare attività dei due partiti della sinistra - che si muovevano all'insegna, psicologicamente subdola, dei «partigiani» della pace -, De Gasperi dovette curare in quel momento una delicata situazione interna della Democrazia cristiana.

Guido Gonella, che aveva assunto la segreteria politica dopo l'andata al governo di Piccioni, godeva di grande prestigio personale, dentro e fuori il partito, per il suo passato adamantino, per una preparazione culturale non comune, per la semplicità dei suoi modi ed inoltre per avere una moglie e dei figli esemplari, il che è tutt'altro che secondario per un esponente politico (e della Dc!). Legatissimo ed affezionato a De Gasperi, egli era considerato però dalla nouvelle vague di Fanfani, Dossetti ed amici di via della Chiesa Nuova (la corrente che esprimeva la rivista «Cronache sociali») non abbastanza adatto alla guida di un partito nuovo, scattante, moderno. La considerazione che con questo tipo di organizzazione artigianale (l'aggettivo è ingiustamente riduttivo, ignorandosi le stupende possibilità dell'artigianato; un po' come avviene per il termine bersaglieresco cui si vuol dare un significato di improvvisazione pressappochista, facendo storicamente torto persino alla breccia di Porta Pia) la Dc aveva raggiunto il trionfo del 18 aprile non era apprezzata. Una sorta di modernismo politico circolava nel partito, incoraggiato da chi - sotto sotto - criticava Gonella per ridimensionare De Gasperi e per contestare - senza affrontarlo direttamente - l'atlantismo suo e di Sforza. Non a caso erano gli stessi artefici della impallinatura a Sforza nelle elezioni presidenziali del 1948.

Fu in quei giorni che in un incontro casuale in segreteria di Stato, presso monsignor Dell'Acqua, ascoltai da padre Gemelli la profezia che entro pochi anni alla testa del nostro partito vi sarebbe stato Amintore Fanfani.

Da quando avevo lasciato a Cesarino Dall'Oglio la direzione dei Gruppi giovanili, io mi ero occupato solo marginalmente del partito, tutto preso dall'incarico del Viminale che concentrava competenze tanto complesse che più tardi sarebbero state assegnate addirittura a più di un ministro (Turismo e spettacolo, Riforma dell'amministrazione, Affari regionali, Rapporti con il Parlamento ecc'). Congiunturalmente si era aggiunta la revisione delle frettolose epurazioni dei gradi quinto e quarto decretate in massa dal Governo Parri; il Consiglio dei ministri ne aveva affidato l'esame ad una piccola commissione (Piccioni, Grassi, Andreotti) con l'intesa che se i tre fossero concordi si registrava a verbale la decisione senza discuterla. Era un compito delicato perché i colpiti perdevano anche il diritto alla pensione; ma riuscimmo a fare opera di giustizia, distinguendo bene profittatori e violenti da funzionari meritevoli ed erroneamente esposti ad bestias. Imparai molto da quel faticoso esame di fascicoli. Compresa la furbizia di un prefetto che si era a suo tempo inventato, per far carriera, la partecipazione alla marcia su Roma, mentre nel 1922 era un giovane e pacifico seminarista. Per un altro caso, che tenevamo in sospeso non sentendoci di assolverlo ma volendo restituirgli solo al limitare dei sessantacinque anni la pensione, don Sturzo mi inviò una lettera violentissima sostenendo



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