Essere fragili by Joan-Carles Mèlich

Essere fragili by Joan-Carles Mèlich

autore:Joan-Carles Mèlich [Mèlich, Joan-Carles]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Il Saggiatore
pubblicato: 2024-06-03T22:00:00+00:00


5. La fragilità dei gesti

Comincerò citando Shakespeare. Sempre ritorno – ci ritorniamo e dovremo ritornarci – a Shakespeare perché è una lettura costante e ineludibile per una filosofia letteraria. E, insieme a Shakespeare, rileggiamo anche Emmanuel Levinas, in concreto la terza conferenza raccolta nel libro Le temps et l’autre. Secondo il filosofo lituano, qualsiasi filosofia non è altro che una meditazione su Shakespeare. E ha ragione. Per Levinas, la grande tragedia shakespeariana è Macbeth, perché essere o non essere non è il problema! E per questo motivo trascrivo il monologo di Macbeth dopo che gli hanno comunicato la morte della regina:

Doveva morire in un altro momento. Ci sarebbe stata un’ora adatta per tale parola. Domani, e domani, e domani… di questo lentissimo passo striscia giorno dopo giorno fino all’ultima sillaba scritta nel libro del tempo; e tutti i nostri ieri hanno illuminato agli sciocchi il cammino verso la polvere della morte. Spegniti, spegniti, breve candela! La vita è solo un’ombra che cammina, un povero attore che tutto tronfio si dimena durante la sua ora sulla scena, e poi non se ne sa più nulla; è una storia raccontata da un idiota, piena di clamore e di furia, che non significa nulla.1

«Domani, e domani, e domani […]. La vita è solo un’ombra che cammina.» Questa definizione dell’esistenza è insuperabile. Però, oltretutto, è anche un eccellente riassunto della tradizione metafisica occidentale: Platone contro Shakespeare. Il mito della caverna rifiuta il teatro, le ombre, il fuoco. Platone non sopporta le ombre. Lui immaginava una vita senza precarietà, una vita guidata dalla luce del sole, dalla permanenza, dalla costanza, una vita in cui la morte, la sofferenza e la perdita fossero superabili. Di fatto, non c’è morte in Platone, bensì liberazione. E da cosa si libera il soggetto platonico? Dalle ombre, dal dubbio, dalla debolezza, dal corpo; in poche parole: dalla vulnerabilità. Contemplata dalla prospettiva della materialità dei corpi, la vita è piena di clamore (sound) e di furia (fury). La vita è piena di parole, di racconti, di eredità, di amore e di crudeltà, ma la cosa più terribile di tutte, come dice Macbeth, è che «non significa nulla» (signifying nothing). Tutto ciò è insopportabile per Platone e per la tradizione metafisica.

Si è chiarito che una filosofia letteraria non ammette le essenze o le sostanze, ma sì le strutture. Ricordiamo che la struttura non è un’essenza. Di fatto, la struttura, di per sé, non è nulla, non ha entità. È ciò che articola o vertebra tutte le situazioni e le relazioni della vita precaria, ma non si può dire nulla della struttura in sé. Non possiamo dire nulla della condizione vulnerabile se non nelle situazioni e nelle relazioni precarie in cui si manifesta. Ecco perché, come nell’album di fotografie del film Smoke, la vulnerabilità è sempre la stessa, ma, al contempo, è sempre diversa, è sempre unica. La vulnerabilità si esprime nelle situazioni sociali, storiche e politiche di precarietà e tale precarietà dipende dal fatto che la nostra vita sia sempre, in un certo senso, nelle mani di un altro, esposta all’altro, a persone conosciute e sconosciute.



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