Estremi by Jon Krakauer

Estremi by Jon Krakauer

autore:Jon Krakauer [Krakauer, Jon]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Corbaccio
pubblicato: 2018-10-09T22:00:00+00:00


I cancelli dell’Artico

Il sentiero si arrampicava fino a un’alta spaccatura nella roccia che ricordava un mirino incastrato fra le nude pareti di granito. Con addosso un grosso zaino, ero preoccupato per il peso che mi affondava nelle spalle e per le rocce che si spostavano sotto i piedi, così non vidi l’orso finché non mi trovai a meno di una settantina di metri. Mi fermai a riprendere fiato, diedi un’occhiata verso l’alto ed eccolo lì: un grizzly di 160 chili, che attraversava a grandi passi la morena che scendeva dal colle. Poiché avanzavo controvento, l’orso non mi aveva ancora notato, ma un unico sentiero conduceva oltre il colle, e io mi trovavo proprio sul percorso dell’animale.

Per essere un grizzly, era relativamente piccolo. D’altro canto, la sua stazza avrebbe sovrastato qualunque attaccante della NFL, e gli occhi piccoli e spenti della bestia non trasmettevano alcuna intenzione cordiale. Mi trovavo nell’Alaskan Brooks Range, molto più a nord del Circolo Polare Artico, perciò non c’erano alberi su cui mi potessi arrampicare. Non avevo un fucile. Sapevo che, se mi fossi messo a correre, lo avrei indotto ad attaccarmi. Senza fiato per lo spavento, cercai di mantenere la calma, ma sentivo la bocca che mi si seccava.

L’orso cominciò ad avvicinarsi. A una trentina di metri, avvertendo il mio odore, si fermò di colpo e si alzò sulle zampe posteriori. L’arruffata pelliccia bionda si increspò al vento. Le zampe anteriori erano spesse come tronchi d’abete. Lo storie raccapriccianti delle vittime dilaniate dagli orsi mi scorrevano velocissime nella mente. Il grizzly annusò l’aria, mi fissò, poi annusò di nuovo. Infine si rimise a quattro zampe e fuggì nella direzione opposta, scattando a una velocità incredibile attraverso una distesa di massi simili a trappole anticarro.

Era il 2 luglio 1974. Vent’anni dopo, il ricordo è ancora vivido. Per un bel po’ dopo che l’orso se n’era andato, rimasi seduto su una roccia ad ascoltare il cuore che mi martellava nel petto. Era l’una del mattino. Le zanzare mi sciamavano intorno alla faccia. Ben al di sopra del colle, uno spuntone di granito dal profilo frastagliato si accese di arancio nella luce del crepuscolo, illuminato da un sole che non tramontava mai. Una serie di montagne senza nome si stendeva fin dove riuscivo a spingere lo sguardo.

Nel corso delle settimane precedenti mi ero abituato al canto delle volpi e al fischio dei pivieri dorati. Avevo attraversato una marea sbuffante di caribù, avevo osservato il panorama da cime non battute, mi ero abbuffato con i temoli pescati in ruscelli cristallini. E adesso avevo guardato negli occhi un Ursus arctos horribilis, solo per scoprire che il protagonista dei miei incubi era più sconcertato da quell’incontro di quanto non lo fossi io. Prima della fine del mese avrei avvistato altri quattro grizzly.

Avevo arrampicato e pescato nelle zone più desolate dell’Ovest americano, ma l’Alaska fece sembrare le regioni selvagge dei Lower 488 insulse e monotone, una pallida imitazione. Nell’Artico, per la prima volta nella mia vita mi ritrovai immerso nell’autentica wilderness. Ero solo



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