Federico II by David Abulafia
autore:David Abulafia [Abulafia, David]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: History, General
ISBN: 9788858427521
Google: johDDwAAQBAJ
editore: Giulio Einaudi Editore
pubblicato: 2017-11-06T23:00:00+00:00
II.
Non è il caso di supporre che la solenne promessa estortagli a Aquileia rabbonisse il risentimento di Enrico per la strategia del «guanto di velluto» adottata dal padre in Germania. Era piú umiliante essere castigato dall’imperatore o ridursi al rango di un semplice esecutore di ordini impartiti da un uomo sempre piú estraneo alla situazione della Germania? Un dilemma difficile da sciogliere, ma per il momento occorreva piegarsi al diktat dell’imperatore. I principi beneficiarono della mansuetudine di Enrico, esercitando influenza a corte e incamerando una cascata di esenzioni. Né i prelati né i baroni laici ebbero vero motivo di lamentarsi della condotta del re nel 1233-34; ergo, non poterono accusare l’imperatore di ingerenza; ergo, Federico poté muoversi con maggior disinvoltura nell’Italia settentrionale, identificata sia da lui che dal pontefice con il focolaio di disordini piú pericoloso. Poiché l’Italia ebbe notevole incidenza sui rapporti tra Federico e Enrico, mi pare opportuno girare attorno alle intricate complessità della politica lombarda per concentrarci sul ruolo svolto da Enrico (VII) nelle vicende tedesche e italiche del 1233 e 1234.
Sarebbe comunque esagerato immaginare una nobiltà schierata compatta dietro il suo sovrano riveduto e corretto. Enrico, inquieto per le ambizioni del nuovo duca di Baviera, Ottone, sferrò contro di lui un’offensiva su larga scala nel 1233; il ritorno alla normalità avvenne quando il figlio di Ottone venne consegnato alla corte in pegno della buona condotta paterna. Tutto ciò presuppone che il duca avesse leso i diritti di Enrico, di Federico o di qualche maggiorente, esponendosi ad una generale disapprovazione della sua arroganza. Abbiamo motivo di pensare che gli abusi riguardassero i possedimenti svevi degli Hohenstaufen, poiché Enrico attaccò anche alcuni vassalli della cui lealtà era alquanto dubbioso. Sua intenzione era conservare o restaurare l’ordine nel cuore delle proprietà di famiglia, ma puntuali si ripresentarono le antiche difficoltà: i vassalli svevi, come i conti di Hohenlohe, dovevano in ultima analisi obbedienza a Federico II, signore feudale del loro sire, e fu a lui in persona che si appellarono, nell’Italia del Nord; ebbero buon gioco a porre in risalto le «offese» di Enrico che sembravano contravvenire alla sostanza del giuramento reso a Aquileia, ovvero gli editti emanati a favore dei principi in assenza di Federico. D’altra parte, le campagne nel Sud della Germania erano state intraprese da Enrico proprio per difendere i suoi beni nello spirito di Aquileia; il giovane re era dibattuto tra due interpretazioni plausibili sui suoi doveri in Germania. Aquileia non aveva risolto l’annoso problema di un’autonomia messa continuamente in forse dalle dirette imposizioni paterne o dalle istanze alla superiore autorità imperiale.
V’era comunque una soluzione che tagliava la testa al toro. Enrico poteva tentare di chiamare a raccolta la Germania contro il suo stesso genitore. Le prospettive erano infauste, considerato il malcontento diffuso tra l’alta nobiltà; poteva però contare sul sostegno dei ministeriales e dei cittadini, beneficiari in passato delle sue azioni, nonché di un certo numero di vescovi (di Augusta e di Worms, fra gli altri), per ragioni alquanto oscure – in quel periodo
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