Foucault in California by Simeon Wade

Foucault in California by Simeon Wade

autore:Simeon Wade [Wade, Simeon]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Blackie


Dante’s View

Rientrati al ranch di Furnace Creek, Foucault fece una doccia e un riposino indossando solo dei pantaloncini rossi. Io uscii e stupidamente persi tempo cercando di preparare un discorso introduttivo alla lezione che Foucault avrebbe tenuto quella sera a Claremont. Mike si mise a studiare giapponese.

Un paio d’ore dopo, a colazione, chiesi a Foucault come si potesse spiegare l’improvvisa apparizione del genio nella Storia. «Pascal, Hölderlin, per esempio, da dove provengono?»

«La Storia non si muove così» disse Foucault disegnando una linea retta con l’indice. «Si muove così.» L’indice sferzava l’aria a casaccio indicando la totale dispersione. Vedendo quel gesto frenetico capii che l’Età della Storia era finita perché il suo presupposto di base, ovvero l’idea spenceriana che l’umanità si sviluppi in maniera stabile e progressiva, era stata smontata da Michel Foucault.

Tornammo a Zabriskie Point per una visita diurna. Eravamo ancora in una specie di trance, ma il picco era passato ovviamente. Feci alcune foto e Foucault fu collaborativo. Sorrise molto. Poi ripartimmo. Guidammo lungo la Route 190, passammo Twenty Mule Team Canyon e raggiungemmo la svolta che ci avrebbe portati a Dante’s View, nostra destinazione a una trentina di chilometri da dove ci trovavamo. Ipotizzai che alcuni cercatori d’oro avessero chiamato il punto d’osservazione Dante’s View per la somiglianza con le incisioni dell’Inferno di Dante di Gustave Doré.

A eccezione dei cespugli di creosoto e di grano della California abbarbicati sui fianchi scoscesi delle pareti che scendevano ripide sulle distese saline oltre millecinquecento metri più in basso, eravamo circondati da un regno di pietre nude e picchi. Verso ovest, verso l’Oceano Pacifico, si succedevano sette o otto catene montuose, inclusi i pinnacoli affilati della Sierra Nevada. A est, in direzione dell’Arizona, si vedeva un vasto deserto luminoso punteggiato da colline aride e vulcani addormentati. La vista ricordava il famoso quadro di Altdorfer, eccetto che era privo di segni di vita.

Io e Michel ci avviammo lungo un sentiero che portava a una sporgenza che dava sulla vallata. I bordi erano così smussati e fragili che avrebbe potuto essere il nido di un’aquila. Foucault era intrepido e insistette per portarmi fino al punto più estremo, dove un passo falso avrebbe potuto farci precipitare direttamente nell’inferno sottostante.

Lì almeno fui capace di esercitare la disciplina del silenzio. Restammo seduti l’uno accanto all’altro in silenzio per un’ora ascoltando il vento attraversato dalle grida degli uccelli che si lanciavano in volo nel vuoto. Foucault osservava intento l’abisso. Poi sollevava lo sguardo a incontrare le montagne che parevano rivolgersi a lui. Per lunghi momenti si concentrò sulle distese saline in lontananza, simili a un mare interno. A volte pareva non guardasse nulla.

Era quasi immobile. L’espressione impassibile. Quando ci alzammo per ripartire, l’unica frase che riuscii a mettere assieme per descrivere quella maestosa desolazione fu: «O splendido nuovo mondo». Michel mi guardò dritto negli occhi e sprofondato nei suoi pensieri si allontanò da solo. Avrei dovuto finire quel verso de La tempesta: «… che ha gente simile dentro di sé».

Raggiunta la macchina, trovammo Michael che prendeva il sole sorridente leggendo i Quattro quartetti di T.



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