Geografia del genio by Eric Weiner

Geografia del genio by Eric Weiner

autore:Eric Weiner
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Saggistica
editore: Bompiani
pubblicato: 2016-02-25T16:00:00+00:00


Una creatura emaciata? Ma come parla quest’uomo?

Scendo dal treno e non faccio fatica a distinguere Broadie in mezzo alla folla. Eccola lì, come promesso, la creatura emaciata. Mi porta fuori dalla stazione affollata con la tranquilla sicurezza di un uomo che ha un forte legame con la sua città e ne ha assorbito l’essenza. Mentre camminiamo, Broadie mi spiega che, pur essendo originario di Edimburgo, Glasgow e il suo fascino operaio l’hanno conquistato e oggi non potrebbe vivere da un’altra parte. “Neanche a cannonate lascerei questa città,” dice, e io gli credo.

A dispetto di queste espressioni così colorite, Broadie è un tipo tranquillo e, sospetto, timido. Attraversiamo una grande area pubblica, superiamo la statua di James Watt, il figlio prediletto di Glasgow. Ha un piccione posato sulla testa e, a giudicare dalle macchie biancastre che ricoprono il marmo, non è il primo. “Povero James Watt,” penso. Una mancanza di rispetto tipicamente scozzese.

Quando Broadie mi informa di aver scelto un ristorante italiano, sorrido e, non per la prima volta, ringrazio silenziosamente il cielo che la Scozia, fra molte scoperte, abbia fatto anche quella delle cucine straniere. Ordiniamo – io scelgo fusilli all’olio d’oliva e del Chianti –, poi ci immergiamo nel nostro tema. Cosa veniva elaborato esattamente in quei misteriosi club, e che ruolo hanno giocato nell’Illuminismo scozzese?

Broadie non risponde direttamente alla mia domanda, non è questo lo stile scozzese. Invece dice che devo considerare l’epoca. All’inizio del XVIII secolo, spiega, gli scozzesi si trovarono quasi all’improvviso a rischio di estinzione culturale. L’Inghilterra li aveva appena annessi; questo li demoralizzava ma, poiché la politica scozzese era stata neutralizzata, gli intellettuali non dovevano più preoccuparsi di prendere la posizione giusta, perché non c’erano posizioni da prendere. Erano liberi di affrontare temi più alti. A volte la politica può ispirare un movimento creativo – è accaduto negli anni sessanta –, ma a volte non c’è nulla di più liberatore di un vuoto politico.

Il vecchio ordine era finito e, mi dice Broadie mentre arriva la nostra pasta, “tutt’a un tratto dovevi pensare a te stesso”. Gli scozzesi, però, presero atto di questa realtà e, come al solito, la reinterpretarono. Pensarono a se stessi insieme, dietro alle porte chiuse dell’Oyster e di centinaia di altri club.

Ciò che rendeva speciali quelle riunioni era il modo in cui univano la rodata collegialità di un pub e il rigore intellettuale di un seminario accademico. I membri rispettavano un rigido protocollo nel bere. Prima di tutto, il padrone di casa brindava a ciascuno degli ospiti, poi gli ospiti brindavano al padrone e infine brindavano gli uni agli altri. Fate i calcoli e vedrete che si beveva davvero tanto. Nasce quindi la domanda imbarazzante, ma inevitabile: questi club erano solo una scusa per ubriacarsi? L’Illuminismo scozzese, come ha detto qualcuno, era forse marinato nel whisky?

No, risponde Broadie. Questa vecchia accusa – solitamente espressa da certi attaccabrighe che risiedono a sud del Vallo di Adriano – è non solo ingiusta, ma anche falsa.

“Davvero? Come mai?”

“Perché non bevevano whisky. Bevevano chiaretto,” dice, come se questa fosse una differenza essenziale.



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