Gli armadi vuoti by Maria Judite de Carvalho;

Gli armadi vuoti by Maria Judite de Carvalho;

autore:Maria Judite de Carvalho; [Carvalho, Maria Judite de]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788838945595
editore: edigita
pubblicato: 2023-05-07T22:00:00+00:00


La zia Júlia sognava dischi volanti e questa era una delle assurde ragioni per cui Dora si era sempre sentita più vicina a lei che alla suocera. Lisa a volte andava dalla nonna a passare il fine settimana e dormiva su un divano, in camera della zia. Questa, la mattina, le raccontava i sogni di quella notte o di altre notti precedenti. «Ora ti faccio ridere», diceva. «Vedrai che ti faccio ridere». Se le sue storie erano sempre un po’ le stesse, in compenso erano molto dettagliate, di una precisione che faceva quasi paura. «C’era questa fetta di sfera che non era illuminata, eppure era luminosa, capisci? Fatta di luce come il mare è fatto d’acqua e la terra di terra. Esattamente così. Era assolutamente immobile, la sfera, o meglio la fetta di sfera, il disco, in mezzo a una spiaggia deserta o a una strada, anch’essa deserta». Lei camminava, correva, era sempre più vicina e non aveva nessun timore, come se fosse un gesto naturale come quello di accelerare il passo per non perdere l’autobus. E tuttavia le sembrava di camminare sempre sullo stesso posto, senza muoversi da lì o comunque molto poco. «Tempo fa ho visto un film, si chiamava Fiume amaro. Succedeva una cosa simile. Io tendevo le braccia, volevo toccarlo, ma non ci riuscivo mai». Era esasperante. Poi, quando stava per toccarlo, quando sapeva che l’avrebbe raggiunto, quell’oggetto si metteva in movimento e partiva. «Non è da ridere?», chiedeva sempre alla fine, guardando fissa la nipote. Una mattina aveva sfoderato un sorrisetto furbo, inconsueto, e le aveva detto: «Una di queste notti me ne vado davvero e non mi vedete più. Dio, quanto mi piacerebbe arrivare in tempo!», aveva esclamato.

«La zia Júlia è un po’ matta, no?», chiese Lisa una sera prima di andare a letto, anche se le sue domande non si potevano mai considerare vere domande. Erano piuttosto pensieri a voce alta, con un punto interrogativo per invitare al dialogo chi le stava vicino.

«Matta? Mi sembra un po’ semplicistico», disse Dora Rosário. «Non è una bella abitudine questa di classificare le persone, di infilzarle come farfalle di una collezione e metterle dove ci fa comodo. Buone e cattive, matte ed equilibrate... Come se fosse possibile! Tra un estremo e l’altro, di sfumature ce ne sono tante, migliaia addirittura. Noi, per esempio, dove potremmo collocarci? Lo sai tu? Io no, ma sicuramente a nessuna delle due estremità».

«Tu sì».

«Io?», alzò le spalle, leggermente contrariata. «Nemmeno io, credimi. Nemmeno io, Lisa».

«Forse hai ragione», ammise Lisa. «Quando uno esce un po’ fuori dagli schemi... come la zia Júlia».

«Povera zia Júlia».

Il discorso finì lì, ma quella sera Dora Rosário pensò a lungo a sé, al nome di Duarte (la sua immagine era quasi del tutto scomparsa, ora che lei non la evocava) e alla zia Júlia. Non pensò a Ernesto Laje. Volontariamente o perché lui non aveva ancora la forza sufficiente per imporsi nei suoi pensieri. Fatto sta – fu lei che me lo disse – che non pensò a lui.



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