Gli ultimi duchi di Milano by Carlo Maria Lomartire

Gli ultimi duchi di Milano by Carlo Maria Lomartire

autore:Carlo Maria Lomartire
La lingua: ita
Format: epub
editore: Mondadori
pubblicato: 2020-05-26T12:00:00+00:00


VII

DALLA BICOCCA A PAVIA

I Francesi, però, non si erano affatto rassegnati alla sconfitta. Lo dimostrava la permanenza di un loro contingente al Castello. Anzi, l’improvvisa morte del papa, promotore dell’alleanza antifrancese, convinse Francesco I che il fronte nemico si fosse in qualche modo indebolito. Fu così che il grosso delle truppe francesi fu raggiunto, mentre si ritirava dalla Lombardia, dai rinforzi. Il sovrano francese aveva poi spedito Renato il Bastardo di Savoia, il de La Palice e Galeazzo Sanseverino a Cremona, con un primo contingente, per unirsi al Lautrec. Così ingrossato, nuovamente temibile e al comando di Lautrec quell’esercito tornò a marciare minaccioso verso Milano.

Ma stavolta il popolo milanese non aveva alcuna intenzione di rassegnarsi. Si armò, pronto a resistere. La situazione indusse il Morone a inviare un messo a Pavia per informarne Francesco: «Mio signore, il governatore vi comunica che un nuovo pericolo incombe sul Ducato, l’esercito francese torna a minacciare Milano, i vostri sudditi si preparano allo scontro, la vostra presenza infonderebbe in essi forza e ardimento. Il governatore Morone vi supplica di tornare in città».

A dirla tutta, Francesco si era trattenuto a Pavia più del previsto e più del necessario, alimentando non a caso indiscrezioni e pettegolezzi: «Di sicuro c’è una donna di mezzo. Sarà un’altra mugnaia, come per il fratello?» chiese Morone al Visconti con una certa preoccupazione e una buona dose di sarcasmo, ricordando la «passione» pavese di Massimiliano. E in effetti c’era una donna – una giovane dama moglie di un signorotto di Casteggio, della quale mai si seppe di più – a trattenere Francesco e a ritardarne la partenza per Milano. Ma, evidentemente, il fascino della dama non era tale da indurlo a ignorare l’appello dei suoi sudditi.

Infatti, la notte del 2 aprile si mise in cammino scortato dal marchese di Pescara Fernando d’Avalos alla testa degli imperiali. Il giorno dopo entrava a Milano da Porta Ticinese accolto dal suo popolo con travolgente entusiasmo. “Forse per questo momento, forse è immaginando che tutto ciò potesse accadere” pensò Francesco, “che mio padre ha voluto darmi il nome del mio grande nonno.”

Intanto i Francesi comandati da Lautrec, con gli alleati Svizzeri e con i soliti Veneziani – Schiner, morto a Roma il 30 settembre, era ormai fuori gioco – si erano fermati a Monza per prepararsi all’assalto finale. A muoversi per prime furono però le truppe comandate dal marchese di Pescara e da Prospero Colonna, che si avvicinarono al nemico andando ad accamparsi dalle parti della Bicocca degli Arcimboldi, a metà strada tra Milano e Monza. Il grosso delle forze imperiali era costituito dall’esercito di Carlo V, composto tutto di Spagnoli, per i quali la morte del pontefice non aveva cambiato granché le cose.

Mentre i Francesi si muovevano verso di loro per giungere allo scontro, sopraggiunsero 6000 volontari milanesi, armati alla bell’e meglio, comandati da Francesco II e nei borghi vicini al campo di battaglia le campane delle chiese suonavano ininterrottamente a martello. Accadeva qualcosa di inconsueto: stavolta il popolo era sceso in campo pronto a tutto pur di evitare il ritorno dei Francesi.



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