Gli uomini di Putin by Catherine Belton

Gli uomini di Putin by Catherine Belton

autore:Catherine Belton [Belton, Catherine]
La lingua: ita
Format: epub
editore: La nave di Teseo
pubblicato: 2020-01-14T23:00:00+00:00


11. Londongrado

Quando Roman Abramovič partì per fare il governatore della Čukotka, una remota regione bloccata dai ghiacci nell’estremo oriente della Russia, di fronte all’Alaska al di là dello stretto di Bering, era ancora il primo anno di presidenza di Vladimir Putin. La sua destinazione era un luogo dimenticato da Dio ai confini della terra, a 3700 miglia da Mosca, dove gli alberi crescevano raramente e i venti ululavano così feroci da sollevare i cani da terra e lanciarli dall’altra parte della strada. La Čukotka era sempre stata scarsamente popolata, ma i suoi abitanti avevano praticamente abbandonato la regione dopo il collasso sovietico. All’arrivo di Abramovič, la popolazione era scesa da 153.000 a 56.000 abitanti, e coloro che erano rimasti stavano lottando per sopravvivere, abbattuti dalla povertà e dall’alcolismo. Ci era andato, ha detto in una rara intervista, perché era “stufo” di fare soldi in continuazione.1 L’ha sempre presentata come una sua decisione, sostenendo di voler guidare “una rivoluzione verso una vita civilizzata”.2 Promise di cambiare le cose in meglio, e vinse così le elezioni per la carica di governatore nel dicembre 2000 con il 92 per cento dei voti.

La popolazione della Čukotka baciava la terra su cui Abramovič camminava. Il magnate con la barbetta mal rasata e il sorriso timido era cresciuto orfano, allevato dai nonni in una tetra e difficile città petrolifera del Nord della Russia. Ma ora stava agendo come un benefattore per gli abitanti della regione e riuniva una squadra di dirigenti per migliorare il loro tenore di vita. Misero in piedi nuovi canali TV e radio, una sala da bowling, una pista di pattinaggio coperta e riscaldata e un cinema. In questo modo Abramovič spese di tasca propria decine di miliardi di rubli.3 Era come se si fosse inchinato, in un immediato atto di fedeltà, alle richieste di Putin affinché le grandi imprese si assumessero una maggiore responsabilità sociale dopo gli eccessi degli anni novanta.

In realtà, non gli era stata lasciata molta scelta. Secondo un magnate a lui vicino, fu mandato in Čukotka per ordini dall’alto,4 perché Putin voleva che la fortuna che Abramovič aveva accumulato con le sue partecipazioni nella grande azienda petrolifera Sibneft e nella Rusal, che controllava più del 90 per cento della produzione nazionale di alluminio, fosse a sua disposizione. Non bastava che la sua fondazione di beneficenza, la Polo di Speranza, fosse pronta a donare 203 milioni di dollari alla Petromed, la società di attrezzature mediche collegata alla Banca Rossija.5 Putin voleva poter accedere anche al resto del denaro, e le leggi dell’epoca rendevano più facile mettere in prigione i funzionari che gli uomini d’affari. Il socio di Abramovič lo ha confermato: “Putin mi ha detto che se Abramovič infrange la legge come governatore, può sbatterlo immediatamente in prigione.”6 L’investimento di Abramovič di gran parte della sua fortuna in Čukotka sembrava ridurre questo rischio. Ma la minaccia di tasse arretrate simili a quelle applicate alla Jukos gravava sempre sulla sua Sibneft, soprattutto perché i suoi investimenti personali facevano parte di un meccanismo bilaterale che lo legava ancora di più al Cremlino.



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