Il bacio della contessa Savina by Antonio Caccianiga

Il bacio della contessa Savina by Antonio Caccianiga

autore:Antonio Caccianiga [Caccianiga, Antonio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Fratelli Treves
pubblicato: 1919-04-14T23:00:00+00:00


* * *

XV.

Per riparare almeno in parte i passati miei torti io visitai sovente il povero infermo, portando il mio obolo al tugurio, e qualche dolciume ai fanciulli che mi presero presto in amicizia. La loro ingenua affezione mi tornava assai più grata di quella dei miei compagni di disordine, e seduto su quei greppi colla bambina, mentre la capra rosicava le foglie dei mirtilli e dei roveti, e Bitto vagava pel bosco alla caccia di tutto quello che brulicava sulla terra e sugli alberi, io mi sentiva calmo e predisposto a fare il bene; l'aria pura ed elastica della montagna mi risvegliava teneri sentimenti ed elevati pensieri, l'esalazioni silvane esilaravano il mio spirito, il silenzio solenne di quelle solitudini mi facevano fantasticare gradevolmente, e mi pareva impossibile di aver per qualche tempo abbandonato i miei passeggi e le mie contemplazioni per vivere in cattiva società nell'afa dell'osteria, grave ai polmoni, che esalta il cervello ed abbrutisce il cuore.

Uguccione della Fagiuola non era contento, e tentò, ma invano, d'eccitarmi a non abbandonare gli amici e la partita, rinnovandomi il suo panegirico del vino, e dicendomi che il soldato non deve mancare di coraggio per una battaglia perduta. Gli risposi con fermezza irremovibile che avevo rinunziato per sempre al giuoco ed all'osteria, senza rinunziare per questo ai buoni amici e al buon vino, ma aggiunsi che non stimavo buoni amici coloro che mi spogliavano mentre ero ubbriaco, nè buon vino quello che mi faceva dormire sotto ai tavoli. In quanto all'esempio del soldato, gli risposi che chi aveva la testa rotta era autorizzato a passare agli invalidi, e che in quanto al coraggio, ce ne voleva talvolta di più per sostenere una ritirata che per tornare alla lotta. Io parlavo per esperienza, non potendo vantare nella mia vita una sola vittoria, ma molte sconfitte.

Uguccione non si mostrava persuaso de' miei argomenti, ma non sapendo che cosa rispondere, agitava furiosamente il suo cappellaccio in segno di disapprovazione, ed essendo testardo ed organista ad un tempo, mi risuonava continuamente lo stesso motivo, con poche e cattive variazioni, fermandosi lungamente sopra una nota, come soleva fare nell'organo. Il giuoco abbandonato lo crucciava più del dovere.

— Ma non volete nemmeno tentare una rivincita? — mi diceva. — Ma tentate dunque una rivincita.... e vedrete i capricci della fortuna.

— La rivincita, — io rispondevo, — l'ho ottenuta il giorno che feci solenne giuramento di non prendere più in mano una carta da giuoco; da quel momento ho guadagnato tutto quello che avrei perduto giuocando, senza tener conto del denaro risparmiato nel vino.... e nell'acqua che vi si trova sovente commista, nè della salute perduta a forza di disordini, nè della riputazione pregiudicata a mio danno.

A me, caro Tobia, basta una sola lezione, la perdita d'un solo orologio, una sola notte funesta!...

Uguccione, vedendo impossibile il convertirmi, si metteva a ridere con quella bocca sperticata, spalancando le sue labbra da Cafro con strani sberleffi, ed accusandomi di subire le malvagie influenze del clero.

Questo Ghibellino arrabbiato aveva in parte



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