Il cuore nero dei servizi by Piero Messina

Il cuore nero dei servizi by Piero Messina

autore:Piero Messina [Messina, Piero]
La lingua: ita
Format: epub
editore: RIZZOLI LIBRI
pubblicato: 2012-02-14T16:00:00+00:00


Morire senza tutela

La morte di Massimo D’Antona non serra le file istituzionali. Quando il 19 marzo del 2002 un commando delle nuove Brigate Rosse ucciderà il professor Marco Biagi, gli appunti contenuti nella relazione presentata dall’intelligence nel semestre precedente suoneranno come una condanna senza scusanti per aver abbandonato il docente al suo destino. Nei documenti dei servizi segreti era scritto chiaramente quali fossero gli obiettivi del terrorismo rosso: «Personalità del mondo politico, sindacale e imprenditoriale impegnate nelle riforme economiche e sociali e del mercato del lavoro, soprattutto se ricoprono ruoli di tecnici e consulenti»: e Marco Biagi era un consulente del governo nazionale e lavorava a un progetto di riforma del mondo del lavoro. Quella relazione dei servizi indicava come prioritaria la minaccia proveniente dalle Brigate Rosse per la costruzione del partito comunista combattente e dai gruppi che a esse si ispirano, «in ragione del perdurante proposito di rilanciare la lotta armata ancorandola a strumentali interpretazioni di eventi interni e internazionali».

Ancora più premonitore, il passaggio in cui la relazione alla commissione parlamentare sottolinea «il rischio che il terrorismo brigatista possa predisporsi a nuovi interventi offensivi anche contro le espressioni e le personalità del mondo politico, sindacale e imprenditoriale maggiormente impegnate nelle riforme economico-sociali e del mercato del lavoro e, segnatamente, quelle con ruoli chiave in veste di tecnici e consulenti».

Cosa è stato fatto per proteggere Marco Biagi? Nulla, anzi, nell’autunno precedente all’agguato, nonostante il docente ricevesse delle minacce, il sistema di protezione nazionale e locale decise di togliergli la scorta. Marco Biagi è stato lasciato solo. La revoca della scorta al professore di Bologna, consulente dell’allora ministro del Welfare Roberto Maroni, scatena le classiche polemiche del giorno dopo. Marco Biagi, spiegherà l’allora ministro dell’Interno Claudio Scajola, non usufruiva più di un servizio di tutela «perché l’autorità provinciale di pubblica sicurezza aveva ritenuto cessate le esigenze». Eppure lo stesso Maroni aveva chiesto al Viminale di riassegnare la scorta al docente bolognese. A sangue caldo, poche ore dopo l’omicidio, Scajola si difenderà così, affidando il suo pensiero alle agenzie di stampa: «Il terrorismo non si sconfigge con le scorte. Ci sono già molti uomini impegnati nelle scorte. I comitati provinciali decidono e ogni tre mesi rimodulano le scorte. In questo caso era stato deciso, in parte nel mese di giugno, prima di questo governo, in parte dopo, che non ci fosse questa necessità».

C’è da chiedersi: Scajola aveva letto la relazione dei servizi? E ancora, era al corrente del fatto che il professor Biagi riceveva telefonate anonime? E se Biagi avesse avuto la scorta, cosa sarebbe successo? Le Brigate Rosse avrebbero desistito?

La dinamica dell’agguato racconta di un altro destino possibile.

Biagi è un uomo metodico. Ogni sera, quando finisce la lezione alla facoltà di Economia dell’Università di Modena, prende il treno per tornare a Bologna, la città dove vive con la sua famiglia. Appena arrivato in stazione chiama la moglie per avvertirla del suo arrivo. Inforca la bicicletta e percorre il tratto di strada fino alla sua abitazione di via Valdonica. Sono le 20,07 del 19 marzo quando il gruppo di fuoco delle Brigate Rosse entra in azione.



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