Il maestro e l'Infanta by Alberto Riva

Il maestro e l'Infanta by Alberto Riva

autore:Alberto Riva [Riva, Alberto]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Neri Pozza
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


23.

È un elenco necessariamente sommario, quello stilato mentalmente dalla principessa delle Asturie. Cosa potremmo aggiungervi, per completarlo? In realtà sarebbe impossibile: quante sono, di un uomo, le azioni non visibili, non certificabili, fatte talvolta di solo pensiero, di solo sguardo? Addirittura, di sola intenzione. Eppure, è proprio in quella regione astratta che talvolta si annidano i momenti cruciali.

Nel caso del maestro, qualcosa di simile è avvenuto una notte a Granada, poco più di un anno prima, come ha ben riferito il ministro Patiño a donna Elisabetta.

Il signor Scarlatti in quei giorni aveva cominciato a lasciare di sovente la fortezza e a discendere verso la città bassa. Lo si poteva incontrare nei mercati di una strada che corre lungo il fiume Darro, appartenente alla parrocchia di San Juan de los Reyes, un edificio di pietra calcarea di estrema semplicità.

Il maestro vi è entrato perché non ha perso l’abitudine di intrattenersi con i frati in ogni luogo in cui arriva. Nella chiesa, dove aleggia un sentore tra la catacomba e il vecchio archivio catastale, ma anche il profumo del rosmarino che cresce in folti cespugli nel chiostro, il maestro ha visto un organo, un buon organo a canne orizzontali.

Siccome i frati sostenevano che lo strumento era in disuso, forse danneggiato, il maestro si è sentito autorizzato a provarlo. Ha suonato, dopo averci riflettuto un istante, un’aria della Griselda, l’ultima opera scritta da suo padre prima di morire. Un fatto puramente sentimentale. I chierici però si sono scambiati sguardi perplessi. Quindi ha suonato un’antica Toccata di Giovanni Gabrieli, cupa e dolorosa, che ha soddisfatto in pieno i religiosi. Gli hanno chiesto infatti di venire qualche volta ad accompagnare la messa. Li ha osservati con quella sua faccia che passa rapidamente dal pallido al rubizzo. Non si è mai fatto vedere.

Però in quei giorni accadeva un’altra cosa. Mentre tra le mura color rame dell’Alhambra la vita della corte prosegue completamente priva di accadimenti che non siano una specie di vuota recitazione, il maestro ha cominciato a frequentare certe taverne. Ci va per cambiare aria, certo. Ci va per il vino, e le olive, e i pesci all’aceto, e le costine d’agnello bruciate. Entra in contatto, inoltre, con alcune forme di gioco che lo stuzzicano, senza però sprofondarci dentro, non ancora almeno. Ma c’è soprattutto la musica.

Ognuna di quelle bettole vede comparire, a un certo punto della sera, un soggetto con la faccia da conduttore di montoni, il gilet in cuoio grezzo, le polacchine impolverate, i capelli finissimi. Si accompagna a uno strumento a corde simile alla viella, la comune viella come se ne vedevano tante a Napoli anche nelle case ammodo, tranne che questa ha cinque serie di doppie corde e non quattro, e nonostante ciò è più piccola. Si chiama guitarra.

In ognuno di questi locali avviene sempre grossomodo la stessa cosa. La gente prosegue nei propri affari, accompagnata dal suono, discreto, della guitarra. Sono uomini e donne di varia estrazione, forestieri, personaggi sicuramente legati alla polizia, spie del Sant’Uffizio, altri balordi.

Il musico non se ne cura, si guarda le mani: la sua relazione è con lo strumento.



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