Il mio calcio eretico by Filippo Galli

Il mio calcio eretico by Filippo Galli

autore:Filippo Galli [Galli, Filippo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EDIZIONI PIEMME
pubblicato: 2024-03-15T12:00:00+00:00


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I calciatori oltre il calcio. La bellezza (e la fatica) di continuare a vincere

Nel mio immaginario, Barcellona è il chiasso delle ramblas, la gioia di vivere degli spagnoli, la fantasia di Gaudí; Vienna invece è l’eleganza austera dei viali asburgici, l’introspezione della psicanalisi di Freud, la raffinatezza dei giardini pubblici curatissimi. Allo stesso modo, le nostre due finali consecutive di Coppe dei Campioni rappresentano l’anima delle città che le ha ospitate: Barcellona 1989 una festa collettiva, rumorosa, sopra le righe; Vienna 1990 la vittoria logica, altezzosa, obbligatoria dei più forti. Non sto dicendo che la seconda finale non sia stata altrettanto incredibile, difficile e quindi appagante (a guardarla bene, del resto, pure Vienna sa essere una città vivace e dinamica). Senza dubbio però la felicità di Barcellona ancora oggi rievoca in me un sentimento unico, genuino, quasi infantile, anche perché in quel caso aver cominciato la partita dalla panchina non era stato per me un cruccio. Un anno dopo, il 23 maggio 1990, al Prater Stadion di Vienna mi aspettavo invece di cominciare nell’undici di mister Sacchi con la maglia numero 5 sulle spalle, al fianco di capitan Baresi, ma avrei giocato invece un solo minuto, una delusione personale nella gioia corale del secondo successo europeo consecutivo del mio Milan.

Tornando a Barcellona, quella contro la Steaua non era nemmeno stata l’ultima partita della lunghissima stagione appena trascorsa, perché il 14 giugno 1989 abbiamo giocato la prima Supercoppa Italiana della storia, contro la Sampdoria vincitrice della Coppa Italia. In un San Siro ormai decisamente vacanziero (ci saranno state al massimo 20.000 persone), i gol di Rijkaard, Mannari e Van Basten hanno ribaltato l’iniziale vantaggio di Vialli e ci hanno consegnato un altro trofeo vinto al primo tentativo. Ho giocato tutti e 90 i minuti di quel match, un ottimo modo per finire la stagione e proiettarmi a quella successiva, nella quale come squadra ci attendeva il difficilissimo compito di ripeterci e vincere di nuovo. Innanzitutto in Italia, dove l’Inter nel 1989 aveva dominato il campionato con 11 punti di vantaggio sul Napoli e 12 su di noi, e poi in Europa e nel mondo, perché dopo la Coppa dei Campioni sollevata a Barcellona ci eravamo guadagnati un posto per la Coppa Intercontinentale di Tokyo.

Ho iniziato la stagione 1989-90 motivato, in forma, focalizzato sugli obiettivi come sempre. Nella mia testa, anche quando l’anno prima ho cominciato varie partite in panchina, io ero un titolare del Milan. Questa consapevolezza, a volte quasi un po’ naif, da un lato era uno stimolo che mi imponevo da solo per essere pronto in ogni occasione, dall’altro ce l’avevo probabilmente innata. Non vorrei suonare retorico, ma anche dopo lo Scudetto e la Coppa dei Campioni continuavo a vivere la mia avventura al Milan come un privilegio e un traguardo da conquistare ogni giorno con passione e dedizione. Probabilmente Sacchi stimava la mia cultura del lavoro e forse anche grazie a questo sono tornato, per un periodo, a spuntarla su Billy per la maglia da titolare vicino all’intoccabile Baresi.



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