Il mito della malattia mentale by Thomas S. Szasz

Il mito della malattia mentale by Thomas S. Szasz

autore:Thomas S. Szasz [Szasz, Thomas S.]
La lingua: ita
Format: epub, azw3, mobi
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


organizzate svolgevano nella politica europea dell'epoca. Egli non prendeva in considerazione gli insegnamenti religiosi nei loro diversi contesti storici. Più tardi, Engels (1877) espresse un'opinione non dissimile sui rapporti tra

religione e oppressione sociale, sottolineando soprattutto il fatto che la

nozione cristiana dell'«unità in Cristo» può costituire un succedaneo

dell'eliminazione delle disuguaglianze sociali. In tempi più recenti, Bridgman (1959) ha rilevato che «l'etica cristiana è in primo luogo l'etica di coloro che hanno in comune la miseria. Una società sul tipo delle moderne democrazie

sarebbe stata inconcepibile per San Paolo» (p. 263).

Sono d'accordo nel ritenere che le credenze e le pratiche del cristianesimo, e soprattutto quelle del cattolicesimo romano, siano le più adatte agli schiavi; esse sono anche utili a coloro che aspirano al dominio, ma lo sono un po' meno che agli oppressi. La storia religiosa degli ultimi duemila anni conferma questa impressione di carattere generale (Brinton, 1959): nei paesi prettamente

cattolici - come ad esempio l'Italia, il Portogallo, la Spagna, e anche

l'Ungheria e la Polonia, quali si presentavano prima della seconda guerra

mondiale - l'insegnamento religioso era assai più seriamente seguito dalle

classi inferiori (gli oppressi) che non dalle classi dominanti (gli oppressori).

L'etica e la psicologia dell'oppressione sono in contraddizione con l'etica e la psicologia della democrazia e dell'uguaglianza (Abernethy, 1959). Diceva Lincoln (1858): «Come non vorrei essere uno schiavo, così non vorrei essere un padrone, e questo esprime bene la mia idea della democrazia. Tutto ciò che ne differisce, in tutti i sensi, non è democrazia.» Se definiamo un uomo libero, capace di

autogoverno, democratico come lo definiva Abraham Lincoln, vale a dire un

individuo che rifiuti sia il ruolo di padrone sia quello di schiavo, avremo

l'immagine di un uomo al cui modo di vivere le regole bibliche si applicano

punto o poco.

Prese nella loro integrità e sottratte a ogni particolare contesto storico, le regole bibliche si prestano alla seguente generalizzazione: "benché alcune di esse mirino a mitigare l'oppressione, il loro indirizzo complessivo tuttavia

favorisce lo stesso spirito di oppressione da cui tali regole hanno tratto

origine e di cui erano inevitabilmente imbevuti i loro creatori". Dal momento che oppresso e oppressore costituiscono un binomio funzionale, la loro

psicologia, vale a dire i loro rispettivi atteggiamenti verso i rapporti umani, tendono a rassomigliarsi (A. Freud, 1936), e questa tendenza è favorita anche dalla fondamentale propensione umana a identificarsi con chi ha a che fare con noi. Ne consegue che ogni schiavo è un potenziale padrone e ogni padrone un

potenziale schiavo: aspetto, questo, da sottolineare, perché è inesatto e

ingannevole contrapporre la psicologia dell'oppresso alla psicologia

dell'oppressore. L'orientamento comune a entrambi deve essere invece

contrapposto alla psicologia dell'individuo che si senta "uguale" al suo simile.

Date le ineguaglianze sociali che caratterizzavano il "milieu" sociale in cui il cristianesimo sorse e fiorì, è lecito porsi la domanda: con quali mezzi, a quel tempo, gli oppressi potevano migliorare la propria sorte? Al giorno d'oggi,

l'istruzione e l'aumento delle proprie capacità costituiscono gli strumenti

principali per migliorare le proprie condizioni sociali. Ma duemila anni fa tali tecniche non erano disponibili, e in realtà fanno tuttora difetto nelle società in cui



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