Il tennis l'ha inventato il diavolo by Adriano Panatta & Daniele Azzolini

Il tennis l'ha inventato il diavolo by Adriano Panatta & Daniele Azzolini

autore:Adriano Panatta & Daniele Azzolini [Panatta, Adriano & Azzolini, Daniele]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Sport/Giochi
ISBN: 9788820067960
editore: Sperling & Kupfer
pubblicato: 2019-11-27T23:00:00+00:00


«Aveva un incredibile talento, in campo portava il fuoco, giocava un tennis aggressivo, potente e veloce in un modo che non avevo mai visto.» Nella sua autobiografia, Chris Evert descrive Natasha con due aggettivi: «fast and furious». Ma non è la sola a ricordarla. Tatiana Naumko, prima donna coach in campo maschile accanto all’allievo Andrej Česnokov, fu ancora più esplicita: «Nella mia Unione Sovietica non avrebbero mai accettato di avere un McEnroe fra i giocatori. Una donna, poi, era impensabile».

Alta più di 1,80 ma flessuosa e dinamica, i capelli rossi e lisci divisi in due esatte metà, secondo la moda degli anni Settanta, Natasha vinse le qualificazioni a Wimbledon nel 1974, quando aveva sedici anni. Non la vollero nel tabellone, ma quella fu una decisione degli organizzatori. «Sei brava», le dissero, «e anche forte, ma i Championships non sono una cosa da ragazzini. Torna il prossimo anno.» Chmyreva si limitò a vincere il torneo juniores, a mani basse.

Il 1975 la vide semifinalista agli Australian Open, sconfitta fra molti batticuore da Martina Navrátilová, che aveva due anni in più. Anche in Australia vinse il titolo juniores, ma a Parigi non la iscrissero. C’erano gli studenti in piazza e risuonavano slogan da cui era meglio tenersi lontani: a Mosca la pensavano così.

Natasha si ripresentò a Wimbledon, vinse nuovamente fra le junior e raggiunse gli ottavi nel torneo «adulto». A New York si limitò alla terza vittoria fra le bimbe. «Mi avessero spedito a Parigi, avrei ottenuto il Grande Slam», si confidò nelle interviste a fine partita. A Mosca la dichiarazione non piacque, ma decisero ugualmente di allentare le briglie, almeno per un po’. Ha modi da occidentale, pensarono, forse può esserci utile.

Quella del 1976 fu la sua stagione più lunga nel circuito. Le negarono ancora Parigi, ma le concessero un tour in America, sotto scorta di Olga Morozova, la migliore giocatrice sovietica e la più fedele alla causa. Non erano amiche, ma Natasha non se ne faceva un problema, mentre Olga non aveva mai accettato che la ragazzina avesse cominciato a batterla con una certa regolarità già dal 1974, appena compiuti i sedici anni. La strana coppia viaggiò insieme per quasi due anni. Natasha raggiunse ancora gli ottavi a Wimbledon, agli US Open toccò i quarti e la classifica della WTA la propose diciottenne al numero 13, a un passo dalle più forti. L’estate di quell’anno, con base a Portland, le due russe girarono per gli Stati Uniti a onorare gli appuntamenti del World Team Tennis. «Forza Soviets», lei ci rideva, Olga molto meno.

L’esperienza venne ripetuta l’anno successivo, il 1977. Natasha superò due volte la Evert, la prima al Peanuts Tennis Classic, un torneo di esibizione a Plains, in Georgia, la città del presidente Jimmy Carter, poi nel World Team Tennis, e in un’occasione anche la Navrátilová. I contrasti con Olga esplosero a Washington. La Morozova li raccontò così: «Avevamo ricevuto l’ordine di non giocare contro i tennisti del Sudafrica. Era tassativo. A Washington il tabellone di doppio ci sorteggiò in primo turno contro la coppia sudafricana.



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