Indoor La nostra storia by Mike Agassi

Indoor La nostra storia by Mike Agassi

autore:Mike Agassi
La lingua: ita
Format: azw3, epub, mobi
ISBN: 9788858513040
editore: EDIZIONI PIEMME
pubblicato: 2015-04-27T22:00:00+00:00


CAPITOLO 7

«I genitori devono fare i genitori. Una madre o un padre come allenatore creano sempre dei problemi. Non fa bene al rapporto. Viene sempre il momento in cui cominci mentalmente a mandarli al diavolo.»

MARAT SAFIN, VINCITORE DELLO US OPEN DEL 2000

Rita aveva cominciato a mandarmi al diavolo appena adolescente, e appena poté anche Andre seguì le orme della sorella. A 13 anni, aveva già smesso di darmi retta. Mi resi conto alla svelta che mio figlio avrebbe avuto bisogno di qualcosa di più di quello che potevo offrirgli io, se volevo fare in modo che riuscisse a entrare nel circuito ATP. E così, dopo aver trovato un mentore per Rita nella persona di Pancho Gonzales – al di là di come poi sarebbe andata a finire – era venuto il momento di trovare un allenatore anche per Andre. Il problema era che non c’era nessuno a Las Vegas all’altezza del compito. Pancho era fuori discussione, per ovvi motivi. Tra l’altro lui non era neanche convinto che Andre fosse un granché, come tennista. «È un tappo» mi disse una volta Pancho sghignazzando. Era convinto che l’unica nella mia famiglia con qualche talento fosse Rita, e lei nel frattempo aveva già smesso di giocare.

Quanto al punto di vista di Gonzales su Andre, era un’opinione che pochi condividevano. Qualche anno prima, quando Andre aveva più o meno 11 anni, lo accompagnammo a un torneo a San Diego. Una leggenda del tennis come Pancho Segura ebbe modo di assistere a una delle partite di Andre, e alla fine ci invitò a casa sua – insieme a un altro uomo che chiamavamo “Tutti Frutti”, perché commerciava in succhi di frutta in tutto il Sud della California. Quando arrivammo, Segura e Tutti Frutti iniziarono a chiamare in tutta la zona di San Diego per organizzare una partita per Andre, sperando di poter piazzare qualche scommessa. Sapevo cosa avevano in mente. Ai tempi di Segura, scommettere sugli incontri per un professionista era un modo per arrotondare gli scarsi guadagni generati dal circuito, ma non era mia intenzione stare a quel gioco. «Mio figlio non è un giocatore d’azzardo» gli dissi. Segura non si scompose, e si offrì di giocare un set contro lo stesso Andre – scommettendoci sopra una sommetta, ovviamente.

Ero curioso di vedere come se la sarebbe cavata Andre contro Segura. Segura si era ormai lasciato alle spalle gli anni migliori – aveva appena passato i 60 – ma era ancora in forma e agile, un vero maestro dal punto di vista tattico. Solo che non mi andava di usare Andre come se fosse una fiche da poker, e non avevo abbastanza soldi con me – Segura aveva proposto di scommettere 100 dollari, per rendere le cose più interessanti – così rifiutai. Ma non avevo fatto i conti con Tutti Frutti, che sfoderò un portafogli gonfio di banconote e mise sul tavolo un biglietto da 100 dollari.

E il set si giocò davvero.

Eccoli lì, mio figlio undicenne da un lato della rete e il poco più che sessantenne Pancho Segura dall’altro.



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