In altre parole by Jhumpa Lahiri

In altre parole by Jhumpa Lahiri

autore:Jhumpa Lahiri
La lingua: ita
Format: epub
Tags: ebook
editore: Ugo Guanda Editore S.r.l.
pubblicato: 2014-12-15T16:00:00+00:00


L’adolescente peloso

Ricevo un invito per andare a Capri, a un festival letterario. Si tratta di una serie di incontri tra autori anglofoni e italiani; si svolgerà in una piazzetta sul mare, che dà sui faraglioni. Ogni anno il festival è dedicato a un tema su cui gli scrittori si confrontano. Quest’anno sarà «vincitori e vinti». Prima del festival, ai partecipanti viene chiesto di scrivere un pezzo su questo tema, per un catalogo bilingue. Visto che sono una scrittrice anglofona, la supposizione è che io scriverò questo pezzo in inglese, e che poi sarà tradotto in italiano. Ma io, in Italia da quasi un anno, sono ormai talmente presa dalla lingua che cerco di evitare l’inglese il più possibile. Scrivo il pezzo in italiano, per cui serve una traduzione in inglese.

Sarei la traduttrice naturale, ma non ne ho la minima voglia. Non mi interessa, in questo momento, tornare indietro. Anzi, mi fa paura. Quando esprimo la mia riluttanza a mio marito, mi dice: «Ti conviene fare la traduzione da sola. Meglio tu che qualcun altro, altrimenti non sarà sotto il tuo controllo». Seguendo questo consiglio, e avendo il senso del dovere, alla fine decido di tradurmi.

Immaginavo che fosse un compito facilissimo. Una discesa anziché una scalata. Invece mi stupisce quanto lo trovi impegnativo. Quando scrivo in italiano, penso in italiano: per tradurre in inglese, devo risvegliare un’altra parte del cervello. La sensazione non mi piace affatto. Provo un senso di estraneità. Come se mi imbattessi in un fidanzato di cui ero stufa, qualcuno che avevo lasciato anni fa. Non mi seduce più.

Da un lato la traduzione non suona. Mi sembra insulsa, scialba, incapace di esprimere i miei nuovi pensieri. Dall’altro sono sopraffatta dalla ricchezza, la forza, la flessibilità del mio inglese. A un tratto mi vengono in mente migliaia di parole, di sfumature. Una grammatica robusta, nessuna incertezza. Non mi serve alcun dizionario. In inglese non devo inerpicarmi. Mi deprime, questa vecchia conoscenza, questa destrezza. Chi è questa scrittrice, così ben attrezzata? Non la riconosco.

Mi sento infedele. Temo, controvoglia, a malincuore, di aver tradito l’italiano.

Rispetto all’italiano, l’inglese mi sembra prepotente, soggiogante, pieno di sé. Ho l’impressione che, finora in cattività, si sia scatenato e che sia furibondo. Probabilmente, sentendosi trascurato da quasi un anno, ce l’ha con me. Le due lingue si affrontano sulla scrivania, ma il vincitore è già più che ovvio. La traduzione sta divorando il testo originale, lo sta smontando. Mi colpisce quanto questa lotta cruenta esemplifichi il tema del festival, l’argomento stesso del pezzo.

Voglio difendere il mio italiano, che tengo in braccio come un neonato. Voglio coccolarlo. Deve dormire, deve alimentarsi, deve crescere. Rispetto all’italiano, il mio inglese mi sembra un adolescente peloso, puzzolente. Vattene, voglio dirgli. Non molestare il tuo fratellino, sta riposando. Non è una creatura che può correre e può giocare. Non è un ragazzo spensierato, vigoroso, indipendente come te.

Ora mi rendo conto di descrivere il mio rapporto con l’italiano in un altro modo, di aver introdotto una nuova metafora. Finora l’analogia era sempre stata romantica: un colpo di fulmine, un innamoramento.



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