Inglesi by Beppe Severgnini

Inglesi by Beppe Severgnini

autore:Beppe Severgnini
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
editore: BUR
pubblicato: 2010-02-11T23:00:00+00:00


per far feuce wodehouse

Il «problema della servitù», in Gran Bretagna, viene affrontato con grande disinvoltura, come venne affrontato a suo tempo il problema dell’Impero: visto che i sudditi protestavano, furono dichiarati «cittadini del Commonwealth», e rimasero gli stessi. Quando la «servitù», negli anni Sessanta, trovò poco dignitoso farsi chiamare servitù venne promossa «domestic help» (aiuto domestico) senza che le cose cambiassero nella sostanza. Il numero, quello sì, si ridusse: un senso di colpa collettivo, l’avvento degli elettrodomestici e l’affitto dei basements (seminterrati) agli stranieri – allettati da nomi leziosi come lower ground floor o garden flat – segnarono la fine di quel delizioso gioco britannico chiamato «upstairs downstairs»: la servitù viveva ai piani bassi (downstairs), dove poteva spettegolare e fumare il sigaro; i padroni stavano di sopra (upstairs), dove potevano tirarsi il vasellame e cercare di produrre un erede senza venire interrotti.

Negli anni Ottanta i ricchi inglesi, gradualmente, si sono ripresi dallo choc di essere ricchi e hanno ricominciato a utilizzare i servizi di maggiordomi, cameriere, cuochi e giardinieri. Naturalmente sono cambiati i numeri lo stile, i rapporti e gli stipendi. Giovani finanzieri ventitreenni, grazie ai denari della City, sono oggi in grado di mantenere un maggiordomo, e si affidano a lui nella vexata quaestio del numero dei bottoni sulle maniche delle giacche. Qualcosa del genere faceva Berto Wooster con Jeeves: P.G. Wodehouse sarebbe senza dubbio affascinato da questi ricorsi storici.

Cominciamo dai numeri. Secondo il censimento del 1851, i domestici costituivano la categoria professionale più numerosa in Gran Bretagna dopo i lavoratori agricoli, e formavano il gruppo sindacale più numeroso di Londra: solo sei città inglesi avevano una popolazione totale che superava le 121mila persone di servizio della capitale, metà delle quali aveva meno di venticinque anni. Ottant’anni dopo, nel 1931, 1.382.000 persone erano ancora impiegate nel settore. L’ultimo dato fornito dal ministero dell’Occupazione si riferisce al 1986, e indica che in Gran Bretagna lavorano 181mila domestici, 159mila donne e 22mila uomini. La cifra, che comprende anche bambinaie, ragazze alla pari e donne delle pulizie a ore, è naturalmente fasulla: per questioni fiscali le bambinaie diventano «assistenti» dei professionisti, e per evitare un eccessivo interessamento dell’istituto della previdenza sociale le au pair francesi sono ufficialmente «ospiti», qualifica che non impedisce loro di lavorare come muli.

La categoria che più ha approfittato del «revival dei valori vittoriani» (qualunque cosa voglia dire) ed è balzata più prontamente sui nuovi ricchi della City è certamente quella dei maggiordomi. Il «great English butler» è diventato amministratore, sommelier, autista, consigliere spirituale e – cosa fondamentale – guadagna almeno tre milioni al mese, più vitto e alloggio. Ivor Spencer, che nel 1981 ha fondato nel sud di Londra la «Ivor Spencer’s School for Butlers», sostiene che gli allievi che si diplomano al termine del suo corso quadrimestrale possono permettersi di scegliere il datore di lavoro e la sua nazionalità, tanto sono richiesti. Nella scuola imparano a servire lo champagne, ad avere cura del proprio alito e a non fissare affascinati le occhiaie della padrona di casa mentre le servono a letto il primo tè della giornata.



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