Io diro la verita by Germano Maifreda

Io diro la verita by Germano Maifreda

autore:Germano Maifreda [Maifreda, Germano]
La lingua: ita
Format: epub
editore: laterza


6. Geografia di un processo veneziano

Quando gli inquisitori veneziani assicurarono Giordano Bruno alle carceri, si trovarono di fronte a due grossi problemi: l’insufficienza delle prove a carico del reo e la dubbia utilizzabilità della testimonianza di Giovanni Mocenigo. Lo stesso cardinale di Santa Severina, in pareri giuridici stesi in anni precedenti, aveva osservato l’autorevole orientamento espresso dal Directorium inquisitorum: i testes singulares, anche sommati alla cattiva reputazione dell’imputato, non bastavano per fondare una condanna: potevano al massimo essere premessa di purgazione canonica – una sorta di assoluzione in mancanza di prove39.

È del tutto evidente, però, che i giudici veneziani erano tuttavia consapevoli – in parte per esperienza e intuito inquisitoriale, in parte grazie a canali informativi che non potevano essere ufficialmente impiegati nel processo – dell’ereticità di Bruno. Ben presto riuscirono a persuadere di ciò Roma e il Sommo inquisitore Santa Severina, che con ogni probabilità coordinò un piano atto a raccogliere nuove denunce e testimonianze attraverso reti di delatori da lui costruite negli anni precedenti, a partire dall’Ordine cappuccino di cui egli era protettore.

Gli esiti di questa strategia – chissà quante altre volte applicata nella storia dell’Inquisizione – non tardarono a palesarsi. Ma per renderli compiuti era opportuno attendere che il pericoloso navarrino fosse estradato a Roma. Bisognava premere in ogni modo sulle autorità della Serenissima perché Bruno fosse assicurato alle carceri romane. A quel punto avrebbe potuto scattare la tagliola. E questo fu ciò che, puntualmente, accadde.

Prima di abbandonare per sempre Venezia e spostare il nostro sguardo sull’imponente palazzo romano del Sant’Officio, nelle cui prigioni il Nolano fu trasferito alla fine di febbraio del 1593, dobbiamo soffermarci su un ultimo aspetto, pure non secondario, della fase processuale svolta in Laguna.

La citata notizia degli Annali cappuccini certifica che fra Celestino da Verona, il 4 luglio 1592, fu «mandato a chiamare» e posto «nelle carceri della Santa Inquisitione a San Marco». L’ultima parte della notazione è un indizio in grado di illuminare un aspetto importante del processo a Giordano Bruno: le prigioni veneziane in cui il filosofo fu rinchiuso non furono – come la tradizione storiografica ha sostenuto – le celle del convento domenicano di San Domenico in sestiere Castello, poste nei pressi della punta di Sant’Elena40, bensì le nuove prigioni del Sant’Officio costruite a ridosso di Palazzo Ducale.

Nella Venezia della seconda metà del Cinquecento erano già in costruzione le cosiddette prigioni Nuove oltre il Ponte della Paglia, terminate fra 1600 e 1605. Solo una volta concluse furono collegate direttamente a Palazzo Ducale tramite il ponticello che sarebbe divenuto celeberrimo con il nome «dei Sospiri». Sul retro delle prigioni Nuove, nell’angolo con la Calle degli Albanesi, furono presto edificati i cosiddetti Luoghi del Sant’Officio: uffici e poche celle a disposizione del tribunale ecclesiastico, la cui esistenza è riportata ancora dalle mappe settecentesche, prima della demolizione41. Quel corpo era attiguo al primo lotto delle prigioni Nuove, completato oltre Rio di Palazzo già nella seconda metà degli anni settanta del Cinquecento. I primi prigionieri vi furono trasferiti nel decennio successivo42.

I Luoghi del



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