La casa del cedro by Monica Pais

La casa del cedro by Monica Pais

autore:Monica Pais [Pais, Monica]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: ebook
editore: Longanesi
pubblicato: 2020-07-02T22:00:00+00:00


Capitolo nove

La colonia estiva

I momenti più belli erano quelli in cui ci si muoveva dal paese: in attesa che la casa al mare fosse pronta, si andava in campagna o al «mare vicino», uno spiaggione di nome Osalla.

In macchina tutti non ci si stava, quindi io e gli altri bambini, i figli delle donne di casa, venivamo caricati sul carretto e via, partivamo festanti e chiassosi. La distanza era di pochi chilometri, ma a noi quel viaggio sembrava infinito. L’asino tirava allegro un carretto senza sponde, da cui penzolavano le nostre gambe perennemente sbucciate. Noi bambini eravamo in mutande, maglietta e ciabatte, mentre la zia Ave stava a cassetta con il conducente coperta da ombrello e cappello: sembrava Mata Hari. Purtroppo non poteva prendere il sole e ci accompagnava paludata in abiti lunghi, cappelli a tesa larga e ombrellino parasole.

La strada costeggiava i poderi degli zii, terre dai nomi fantastici: Pedralonga, Sa Curcurica, Maralai, S’Isula, dove ci fermavamo a prendere angurie o meloni e pesche... pesche a profusione. Perché le pesche delle varietà antiche a polpa bianca sono un frutto molto delicato e vanno a maturazione come le pere: tutte insieme. Quindi, una volta raccolte e avviate alla vendita le più belle e mature, bisognava in fretta consumare le restanti, delicatissime e profumate. Era un’orgia di succo che colava sulle braccia, mentre vespe e api pungevano qua e là. Gli alberi piccoli e carichi di frutta venivano assaltati da noi bambini, ma guai a spezzarne un ramo: il contadino ci osservava, e nel frattempo tagliava un’anguria verde (sa sindria, unica vera ricchezza del paese) da offrire alla zia e a sos pizzinnos, i bambini.

Arrivati in spiaggia, il ragazzo che guidava il carretto montava una specie di tendone sotto al quale lei risolveva le parole crociate e noi aspettavamo che ci venisse portato il pranzo, poi saliva di nuovo sull’asino libero dal carretto e se ne tornava trotterellando a pelo in paese, lasciandoci lì.

Stendevamo sulla spiaggia le stuoie fatte con gli steli delle tife che, arrotolate, avevano fatto da sedili mentre eravamo sul carretto. Erano grosse stuoie di erbe palustri tenute insieme dalla treccia di canapa, e mantenevano sempre un vago sentore di fiume. Erano giacigli confortevoli per riposare, usati tradizionalmente dai contadini anche come letti. Asciugarsi dopo il bagno (che si poteva fare rigorosamente dopo almeno quattro ore dall’ingestione di qualunque cosa) non era un problema: avevo a disposizione un telo di spugna di un colore indefinito, sempre lo stesso, conservato religiosamente per il mio arrivo estivo.

Correvamo urlanti per una spiaggia bianca completamente vuota, dove aveva la sua foce il Cedrino, il fiume che dava il nome alla vallata e che scorreva incastonato in file di oleandri spontanei dalla campagna fino al mare.

I passi di corsa sollevavano la sabbia leggerissima, che volava impalpabile e, quando c’era vento, produceva suoni flautati, spostata dalle folate.

La foce del fiume, ampia e senza rischi, si allargava tra pozze e piccole paludi. La ricerca di piccoli anfibi o pescetti tra le tife e le tamerici riempiva le ore.



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