La fine delle epidemie by Jonathan D. Quick

La fine delle epidemie by Jonathan D. Quick

autore:Jonathan D. Quick [Quick, Jonathan D.]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Baldini+Castoldi
pubblicato: 2020-11-03T23:00:00+00:00


La psicologia della paura e della sfiducia

Perché le persone esposte al rischio di una malattia mortale dovrebbero attaccare chi arriva in loro soccorso? Come hanno dimostrato gli economisti comportamentali, noi esseri umani non siamo così logici e razionali come amiamo credere.8 In effetti il nostro cervello non si è evoluto molto dall’Età della pietra.9 Come accade in altri animali, le sensazioni istintive precedono il pensiero. Quando ci troviamo di fronte a un rischio, reale o presunto, ci sentiamo in pericolo. E quando abbiamo paura, semplicemente non riusciamo a pensare con lucidità. Abbiamo reazioni sproporzionate. La parte più ancestrale del nostro cervello, l’amigdala, innesca una reazione di paura che prende il sopravvento sulla corteccia frontale, più razionale; la paura batte l’intelletto. E che si tratti di vendere armi o prodotti di bellezza, come ben sanno gli esperti di marketing e di mezzi di comunicazione, la paura, capace di mettere sotto scacco così bene il nostro cervello, fa vendere.10, 11 Nei mezzi di informazione non manca chi la alimenta volutamente, perché questo fa aumentare il numero dei lettori, degli spettatori e degli inserzionisti pubblicitari. Tara Haelle, inviata del quotidiano americano «Politico», ha scritto: «Nessun organo di stampa – compreso questo – è riuscito ad astenersi da un’esposizione dei fatti [sull’Ebola] che non contenesse qualche invenzione sulla trama generale di questa malattia virulenta».12 E quando sempre più mezzi di comunicazione pubblicano nuove storie giorno e notte e sperimentano avvincenti chiavi di lettura, l’effetto cumulativo che ne deriva genera paura nelle persone anche in assenza di rischi personali.

Durante l’epidemia di Ebola, la scrittrice e giornalista Maryn McKenna ha dato a questo fenomeno diffuso il nome di «Ebolanoia»13 e ha seguito negli Stati Uniti la risposta dell’opinione pubblica. Le storie raccolte dalla giornalista non erano belle. Persone e aziende erroneamente segnalate nelle notizie di cronaca per essere state esposte all’Ebola sono state stigmatizzate e oggetto di reazioni sproporzionate. Le false voci diffuse sul conto di un affermato negozio di abiti da sposa a conduzione famigliare nello Stato dell’Ohio, hanno portato alla chiusura dell’attività. Le voci sul conto del personale scolastico e di alcuni studenti del North Carolina e del Texas perfettamente sani che erano stati in Africa occidentale, hanno costretto quelle persone a restare a casa da scuola, nonostante fossero state a migliaia di chilometri dal focolaio di Ebola più vicino. La disinformazione ha fomentato la caccia all’uomo nei confronti di studenti di origine africana e altri atti di discriminazione e dettati dalla paura.14, 15, 16

Dove regna la paura, la fiducia nell’«autorità» degenera. Durante un’epidemia, le persone colmano il vuoto lasciato dalla mancanza di fatti riferiti da fonti attendibili con storie che diano un senso agli accadimenti. E spesso queste storie corrono anche più veloci della malattia. In Guinea si diffuse la voce che l’Ebola era solo propaganda per raccogliere più soldi da destinare allo Stato. Gli operatori della Croce rossa presumibilmente diffondevano la malattia e complottavano per prelevare parti del corpo dai cadaveri e metterle in vendita.17 Storie come queste sono rimaste incontestate.

Nel suo libro An Epidemic of Rumors Jon D.



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