La forma della paura by Mimmo Rafele Giancarlo de Cataldo

La forma della paura by Mimmo Rafele Giancarlo de Cataldo

autore:Mimmo Rafele Giancarlo de Cataldo [Giancarlo de Cataldo, Mimmo Rafele]
La lingua: ita
Format: azw3
Tags: Thrillers, General, Fiction
ISBN: 9788858401040
editore: Giulio Einaudi Editore
pubblicato: 2010-10-06T22:00:00+00:00


3.

Durante il secondo incontro, Lupo chiese a Guido di raccontargli quando aveva deciso di trasformarsi, da benestante rampollo dell’alta borghesia, in rivoluzionario in servizio permanente effettivo. Indispettito dall’ironia dello sbirro, Guido si strinse nelle spalle e rispose che si dichiarava prigioniero politico e che da lui non avrebbe piú sentito nemmeno una parola. Il poliziotto sorrise, benevolo.

– Andiamo, su... cerchiamo di comportarci da persone adulte.

Si ritrovò a parlargli di villa Vittoria senza quasi rendersene conto. Forse il sorriso del poliziotto era contagioso, o forse, dentro di sé, Guido non desiderava altro che di comunicare con qualcuno.

– Avevo quattordici anni. Le estati erano diventate interminabili, tediose. Di notte scappavo per andare alla Strega del mare, una discoteca alla moda. Sembravo piú grande della mia età, poi tutti sapevano di chi ero figlio, cosí, quando mi presentavo all’ingresso, nessuno faceva domande. Villa Vittoria era l’orgoglio di f amiglia, il piú prezioso dei gioielli... L’aveva costruita nonno Guido. Il padre di mia madre. Un fascista della prima ora. Chiamava Italo Balbo «figliolo». La Vittoria del nome sarebbe quella della Grande guerra. Op-pure, come certi malignavano, una delle tante ballerine che si era ingroppato...

– Detesto la volgarità. Oltretutto, non le si addice.

Lupo ascoltava attento, incuriosito dalla commistione di elegia e disprezzo che vibrava nelle parole di Guido. E mentre il ragazzo raccontava, gli scorrevano davanti agli occhi i saloni sontuosi, le pareti adornate di dipinti della scuola romana («Orrido modernismo», li aveva definiti il nonno), le quindici camere da letto, i bagni monumentali, le cucine esagerate. Il piccolo esercito di cameriere, sguatteri, giardinieri agli ordini della signorina Boni, la governante abruzzese, che era stata la tata di sua madre e poi la sua, una donnetta alta non piú di un metro e cinquanta ma dotata di una naturale attitudine al comando...

– Conosco il tipo.

Le stanze restavano chiuse tutto l’anno, salvo in estate, quando venivano un po’ di amici, e la settimana che culminava con la grande festa di Ferragosto. Ci veniva la regina d’Olanda, che ha casa poco lontano da lí, e sul tardi passavano Suni Agnelli e Inge Feltrinelli. A metà degli anni Ottanta suo padre aveva aperto le porte ai neoricchi. Sua madre li detestava, ma se volevi restare in cima era con loro che dovevi fare affari.

– A un certo punto tutto questo mi è diventato insopportabile. E ho detto basta.

– Perché poteva permetterselo.

Guido tacque, confuso. Erano piú o meno le stesse parole che gli aveva detto Rossana. E, in un modo oscuro, il ricordo gli aveva evocato un vago rimpianto. Lo sbirro non era solo civile. Era anche molto, troppo abile.

Seguirono altri incontri, a ritmo pressoché quotidiano. Lo sbirro era paziente. Ascoltava, interloquiva il minimo indispensabile, di tanto in tanto si abbandonava a punte di feroce sarcasmo.

– Questa storia del sogno di piantare una pallottola nel cranio di un poliziotto o di un magistrato... Mi scusi se glielo faccio presente, ma lei le physique du rôle dell’assassino proprio non lo possiede.

Guido era stato costretto ad ammettere che quel poliziotto – o forse carabiniere, o forse agente segreto – era di una pasta molto diversa.



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