La memoria dell'amore by Giuseppe Ferraro

La memoria dell'amore by Giuseppe Ferraro

autore:Giuseppe Ferraro [Ferraro, Giuseppe]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Chiarelettere
pubblicato: 2019-07-14T22:00:00+00:00


Il figlio

Lou dice: «Colui che ama si sente potente e capace di sfidare un mondo intero, come se lo avesse conquistato tramite questa intima unione di sé stesso con qualcosa che lo attraeva quale quintessenza di tutte le più belle possibilità e stranezze del mondo. Ma questo sentimento non è altro che il rovescio psichico di quel processo fisico al termine del quale l’uomo supera effettivamente sé stesso proprio nella massima accentuazione e affermazione di sé: nella passione amorosa egli si unisce a ciò che è diverso da lui non per abbandonarsi, ma per vincere persino sé stesso, per far passare sé stesso in un nuovo essere umano, in suo figlio». 12

Non capisco quel «per vincere sé stesso». Ci si abbandona all’altro con l’inganno, riuscendo a ingannare anche sé stessi. Nell’abbandono è la propria affermazione. Ci si abbandona all’altro per «passare». Abbandonandosi si passa sé stesso all’altro, per superarsi? Per continuare a vivere. Per trovare ancora sé stesso dall’altra parte. Per vivere di nuovo? Per rivivere? Non è lo stesso continuare a vivere e rivivere. E poi è il figlio che rivive continuando la propria vita insieme a quella impropria, dell’altro al quale ci si abbandona. Si dice «dare un figlio». Si dice anche «dare alla luce». Partorire è l’uno e l’altro. Dare un figlio all’estraneità e alla luce. «Avere un figlio da» è l’altra locuzione. La madre ha il figlio, mette al mondo, dà al mondo. L’estraneità e la luce si trovano insieme. Il figlio è l’una e l’altra.

Il figlio è chi viene al mondo. Il figlio è una promessa. È un desiderio. È la continuazione della vita. Il figlio rivive quel che non hanno vissuto i genitori. Questa condizione è la sua promessa. Il figlio è sempre Amleto che mette a posto il tempo dell’orologio della storia.

È al figlio che si deve l’amore nel passaggio dal singolo al sociale. Una società si organizza nel presente e nel futuro per come sentirà il figlio in comune. È stata questa l’«utopia» antica, il figlio in comune. Lo leggiamo nella storia appresa a scuola, raccolta nei libri e nell’entusiasmo dell’apprendere che è dei figli che parlava la scuola. Non sempre la scuola lo sa. Li si scambia per prodotti, per soggetti di mercato e competenze. A scuola i figli sono in comune. Una società organizza il suo futuro dall’amore comune per i figli. Comune non è mai una cosa, ma il sentimento che si vive in comune a osservarla, ad averne cura. Senza proprietà, appartenenza, senza paternità e maternità. Ciò che è comune è proprio e improprio, è proprio come propriamente dell’altro. È dalla relazione con il figlio che si dà la singolare generosità del proprio genere, perché il genere è nella relazione che si stabilisce nella singolarità del proprio esistere e vivere.

Ognuno è figlio. Appartiene ed è solo. Somiglia a sé stesso, non sarà più di uno e di un’altra, di uno e di un altro. Sarà come sentirà di essere amato. Il figlio non è il «superamento» in cui si riconosce il cammino di un soggetto della storia.



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