La mia vita in bicicletta by Margherita Hack

La mia vita in bicicletta by Margherita Hack

autore:Margherita Hack [Hack, Margherita]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 2014-04-13T16:00:00+00:00


Milano e la Ducati

Così passammo parecchi mesi da precari, costretti per forza di cose a vivere alle spalle dei nostri genitori fino a che, nel giugno 1947, Vasco Ronchi, ottico di fama internazionale e già direttore dell'Istituto di Ottica, mi invitò a raggiungerlo a Milano, dove si era trasferito su invito dei fratelli Ducati, proprietari della famosa Ducati di Bologna, che avevano deciso di affiancare alla loro classica attività di costruttori di moto e furgoni un tipo di produzione innovativa nel campo delle macchine fotografiche e delle radio. Avevano una nuova sede a Milano, in largo Augusto, in un palazzo di otto piani in cui oggi c’è l’Ho-tel Jolly. All’ottavo piano stavano i ricercatori impegnati nella costruzione di radio e al settimo c’era il reparto ottica. Arrivammo a Milano proprio il giorno del mio compleanno, il 12 giugno del ’47, e nel capoluogo lombardo ancora semidistrutto dai bombarda-menti c’era la fiera, la prima fiera del dopoguerra, che segnava la volontà di cominciare a riprendere le attività che avevano reso importante la città meneghina. Ancora adesso, quando c’è la fiera è quasi impossibile trovare un albergo se non si è prenotato per tempo, figuriamoci allora. La prima notte trovammo finalmente una camera in una foresteria dell’Arcivescovado, i giorni successivi grazie ai tanti amici teosofi del babbo - in Italia in quasi tutte le città c’erano sezioni della Società; il mio babbo come ho già detto aveva lavorato per molti anni per quella fiorentina - dormimmo una notte qua, una notte là, e poi due vecchietti, fratello e sorella soli e che disponevano di una casa grande, ci ospitarono definitivamente. La solidarietà fra i teosofi e verso il babbo fu preziosa per noi in quei primi giorni di vita milanese.

Il mio lavoro alla Ducati consisteva nel preparare un libretto di istruzioni per l’uso di una macchina fotografica molto più piccola, circa la metà, di quelle in uso allora, di cui la rappresentante più famosa era la Leica. L’ingegnosità dell’innovazione consisteva nell’utilizzare lo stesso formato di pellicola, universalmente Usato, per un negativo più piccolo. Sulla pellicola usata per la Leica si ottenevano fotogrammi di dimensioni 24x36. Con la Sogno - così era stata battezzata - il lato corto di quelli della Leica diventava quello lungo ottenendo così dei fotogrammi 18x24. Essendo più piccoli richiedevano ingrandimenti un po’ maggiori e quindi obiettivi di ottima qualità, frutto delle ricerche dell’Istituto di Ottica. La Sogno era un esempio di tutte quelle piccole e grandi innovazioni che caratterizzarono l’attività delle nostre industrie nell’immediato dopoguerra, fra le quali vanno ricordate la Vespa e la Lambretta che motorizzarono l’Italia, e qualche anno dopo il primo personal computer al mondo - il programma 101 - e poi il grande calcolatore elettronico, l’ELEA, ambedue dell’Olivetti. E ora, che ne è stato dell’Olivetti? In Italia avrebbe potuto nascere una grande industria elettronica, come la giapponese o la californiana, con posti di lavoro nella ricerca per migliaia di giovani laureati e tecnici, e invece tutto si è spento, da primi siamo diventati gli ultimi, interamente dipendenti dall’estero.



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